ottobre 2021

 

Podio del Contest di ottobre 2021

 

 

La traccia di questo mese lascia spazio ad ogni interpretazione e genere letterario e vi spinge a scavare dentro e cercare una storia che racconti un po’ di voi e serbi allo stesso tempo, tra le sue righe, un po’ di universalità.

“La grande fuga”

Ognuno di noi almeno una volta è scappato o ha desiderato scappare da qualcosa, che fosse una relazione, una schiavitù mentale, una situazione scomoda, un luogo fisico…

Il vostro protagonista da cosa sta scappando? Da una prigione di massima sorveglianza? Dal marito? Da facebook? Dalla sua paura di volare?…

 

Anja Trevisan


Il giudice d’onore di questo mese è la fresca vincitrice del Premio letterario POP 2021 con il suo romanzo di esordio “Ada brucia” (Effequ), opera prima che ha fatto tirare in ballo la Lolita di Vladimir Nabokov dalla critica e i film di Yorgos Lanthimos.
Stiamo parlando di Anja Trevisan, giovane scrittrice che di sé dice: “Scrivo, mi tatuo, mangio verdura e guardo horror”.
Noi abbiamo scelto lei perché ha una scrittura attuale, scarna e globale, libera da certi fronzoli e atteggiamenti creativi, fresca e a tratti beat, nel senso di aderenza ai fatti spiccioli della vita narrati con intensità emotiva e poche, immediate immagini vibranti. E che vola sopra ad ogni giudizio.
Scrive e inventa storie da quando è bambina, 2 anni di Scuola Holden hanno fatto il resto.
Non vede l’ora di leggere i vostri racconti, anche perché la traccia la intriga.
Dateci dentro penne felici!
E leggete la sua Ada.

 

PODIO DI OTTOBRE 2021

Anja Trevisan, il nostro giudice d’onore di ottobre, ha emesso il suo podio senza indugi e con delle motivazioni private, oseremmo dire confidenziali. Quando chi scrive lega chi legge alla propria storia, la scrittura vince sempre. E un po’ vinciamo anche noi di Breve Storia Felice che crediamo così tanto nel potere delle parole scritte. Ad Anja vanno i nostri grazie per la sua disponibilità e autenticità, a voi il suo podio tecnico.

 

1° classificato: “Hände” di Luca M.

Ho scelto Hände come vincitore perché è l’unico che ho sognato leggere anche in un romanzo. Nonostante sia molto complicato inserire ambientazioni così reali e terribili in un racconto tanto breve, non arriviamo alla fine insoddisfatti; semplicemente, ne vorremmo di più. Se un autore ci trascina in una storia tanto da volerne ancora anche quando la storia è finita, per me ha già vinto.

 

Intervista al nostro primo vincitore, il Breve Scrittore Felice di ottobre 2021: Luca M.

“Che ne sanno i giovani di oggi della gavetta…”
Dei fallimenti, della pazienza, professionale e umana, del lungo periodo, delle passioni indomabili e indomate, della resilienza vera e non quella che hanno sulla bocca perché li fa sentire colti. Dei sacrifici.
Luca è uno scrittore fallito. Così si definisce. Ha 53 anni, ha sognato di diventare scrittore per almeno 34 di quei 53 anni e, ancora adesso, ci sono giornate in cui immagina di firmare copie dei suoi romanzi mentre addenta un panino nell’intervallo.
Non ha fatto altro che leggere dai 5 ai 18 anni, poi ha provato a scrivere, in ogni modo. Partecipando a concorsi letterari, dedicando intere giornate ai suoi romanzi, inviandoli ad ogni casa editrice, pagando a un certo punto quelle più piccole perché pubblicassero i suoi manoscritti.
“Non è servito a nulla. Se non per quel mese a mezzo metro da terra dopo il punto finale. Chi non lo prova non può capire. Non può capire cosa vuol dire investire due anni su un romanzo, senza alcun tipo di riscontro, sudando 8 ore al giorno su qualcosa che esiste solo nella propria testa e poi vederlo sprofondare nel nulla, sapere che non raggiungerà nessuno al di fuori dei suoi 4 amici e parenti. È come dare alla vita un figlio nato morto. E sfortunatamente non diventa più facile, non ci fai il callo, anzi, la carne in quel punto si fa ancora più molle, più fragile fino a quando smetti di crederci.”
Gli chiediamo perché ha partecipato ai nostri concorsi allora, per ben due volte.
Scrivere può essere una tortura quando si ambisce al capolavoro; alcuni vivono la scrittura come un hobby, come un’evasione, ma chi ne ha provato a fare una professione per così tanto tempo ne può essere letteralmente consumato.
“Perché sono brevi. Perché li posso scrivere nelle pause di lavoro (non ci vuole dire quale, si limita a definirlo lavoro di ufficio). Perché ancora ho la presunzione di venir ricompensato per un talento che vedo solo io tra le righe. E forse perché sono single, ho molte sere libere.”
Luca ha talento, chiunque scriva di professione non può fare a meno di notarlo. Anja di “Hände” ha svelato la sua voglia di averne di più, di poter girare un’altra pagina e conoscere il finale.
Chi scrive non si augura altro, per sé e per i propri protagonisti.
“Infatti è la cosa che mi ha fatto più piacere. Leggere che il mio piccolo racconto avrebbe dovuto essere un romanzo mi ha riportato a mezzo metro da terra. Ancora ci cammino a quell’altezza e sono passate già 48 ore…”
Il suo racconto vincitore di ottobre è una gemma di scrittura creativa, la osservi sbocciare tra le righe e non ti azzardi a coglierla perché speri che un giorno sarà un fiore ancora più bello. Non è solo scritta bene, ha uno stelo stilistico che la lascia oscillare tra etereo e materiale a seconda di chi legge.
Anche il suo primo racconto, per la traccia “La vita ai tempi del Covid”, basculava al vento dei suoi brevi dialoghi, squarciando la storia con poche immagini potenti. In Hände ti restano impresse le mani calde della protagonista sul collo e poi sull’uniforme del soldato delle SS, in “Scritto a mano” ti resta impresso un postino anziano che inforca la bici per consegnare lettere di carta in una città spettrale e mantenere vivi i rapporti tra le persone.
“Vi ringrazio. Io tifavo per Agorafobia, i due protagonisti sono così ben tratteggiati pur senza esserlo che ho invidiato chi l’ha scritto… Riparteciperò. Ci ho preso gusto. Ormai è tutto quello che mi resta della scrittura.”

 

Hände di Luca M.

Gli saltarono addosso in quattro. Non doveva avere più di 19, 20 anni. Esattamente come lei.
Estrasse il fucile e sparò un colpo. In aria, non al centro della testa come facevano le altre guardie. Si rialzò e tenendosi il collo con una mano, uscì dalla stanza.
Chi prese il sul posto non fu così clemente, entrò brandendo il mitra e fucilò i primi 10 della fila.
Lo rivide qualche giorno più tardi, nei campi, a controllare che i prigionieri lavorassero senza sosta.
Provava a muovere il collo ma gli faceva ancora male.
Lì dentro, in quell’inferno a righe, non potevi provare pietà per un soldato delle SS, non potevi serbare la tua umanità, il campo di concentramento era diventato una giungla: l’animale più forte prevaleva su quello più debole, quello più furbo sopravviveva un giorno in più.
Miriam aveva già perso sua madre lì dentro, prelevata per le docce calde e mai più tornata.
Di suo padre e dei suoi fratelli non sapeva nulla, li avevano separati all’arrivo.
Eppure non riusciva a togliergli gli occhi di dosso. Era il nemico ma era ancora un uomo. Anzi, era un ragazzo come lei, impaurito a volte, coraggioso altre, che li guardava ancora negli occhi, distinguendo gli esseri umani dentro alle quelle carcasse di ossa e voglia di vivere.
Camminava chino quando non c’erano superiori e si sforzava di stare impettito quando arrivava l’ufficiale tedesco, celando il dolore.
Miriam lo ritrovò ad un passo da lei qualche giorno dopo. Era chino sulla schiena nei bagni, proprio quando le era stato concesso di fare i bisogni. Si sfregò le mani come faceva a casa quando suo padre aveva male alla schiena, le sentì quasi ardere, le appoggiò sul quel collo storto iniziando a premere con i polpastrelli di entrambi gli indici e i pollici. Lui fece un primo scatto portando la mano al fucile, ma poi si lasciò massaggiare ansimando. Miriam sentì la sua pelle fredda scaldarsi e distendersi ad ogni pressione, era come se riuscisse ad attirare quel dolore sommerso, a sfidarlo e convincerlo ad abbandonare la lotta. Magari fosse riuscita a fare lo stesso con il suo dolore, con la fitta in mezzo al petto per la perdita di sua madre. A casa gli avevano detto che aveva un potere, che riusciva a curare i muscoli degli altri con il calore delle sue mani, che era una dote; ma al campo di concentramento nessuno aveva più doti, solo destini più o meno corti, come gli stuzzichini di una penitenza.
Il collo scrocchiò sotto alle sue dita e lui si abbandonò a un grugnito di piacere. Miriam allontanò le mani dalla sua pelle e attese il futuro. Lui si voltò e la guardò senza fiatare.
Poi le prese le mani tra i guanti neri e dolcemente le scaldò tra i suoi palmi.
“Danke.”
Miriam non conosceva il tedesco ma le parve la prima parola delicata di quella lingua tagliente.
Annuì con lo sguardo, come a dirgli prego.
Entrambi in quella latrina sporca credettero per un istante che la vita potesse ancora serbare loro sorprese.
Si ritrovarono in quel bagno due giorni più tardi, senza volerlo. Lui esclamò: “Hände!” e Miriam senza dire nulla iniziò a massaggiargli il collo fino a farlo scrocchiare di nuovo.
“Danke.”, le disse ancora e questa volta Miriam rispose: “Prego”.
Tre giorni dopo entrò nel bagno inibita dal suo desiderio di rincontrarlo, di vivere il loro piccolo momento di normalità all’inferno. Ma non c’era nessuno.
Sentì un rumore nell’ultima latrina in fondo e corse a vedere. Lui l’afferrò per un braccio e spinse una botola nella parete. La trascinò di fretta dentro ad un cunicolo tetro, correvano sempre più forte e lei immaginò di sbucare dall’altra parte dell’incubo.
Quando arrivarono in fondo, il suo soldato spinse un’altra botola che dava sul buio della sera. Erano all’aria aperta, a pochi metri dal filo spinato. Le indicò un buco tra la rete. Miriam sentì le mani bruciare, le appoggiò sulla divisa nera, ad altezza del cuore, e abbozzò un sorriso.
“Hände…”, sussurrò lui.
Pensò che fosse il suo nome.
“Miriam”, gli rispose, e poi sparì dentro a quel foro che lui aveva aperto per lei con le sue mani nemiche.
Anni dopo, per la prima volta, ebbe il coraggio di aprire un vocabolario tedesco. Corse con l’indice fino alla H, esitò a voltare pagina.
Hände: mani.
E le sue si scaldarono come due fiaccole ardenti di speranza.

 

 

2° classificato: “Autogrill” di Nadia A.

Forse il suo intento non era divertire, ma con me l’effetto è stato quello. È difficile divertire un lettore dalla prima riga, ma Autogrill ci riesce già descrivendo la parola flemmatica. Rappresenta una vera e propria fuga da una vita ordinaria e stressante, fa quasi sentire in colpa se non si scappa subito, ai primi campanelli di noia.

 

Intervista alla Seconda Classificata del contest di ottobre 2021: Nadia A.

La A di Nadia A. sta per Autogrill, esattamente come il titolo del suo primo racconto per noi.
Ed esattamente come Giulia, la protagonista del suo racconto vincitore, Nadia 10 anni fa è fuggita da un autogrill nel bel mezzo della Toscana per scappare da una relazione che stava devitalizzando il suo io, la sua voglia di vivere e di sentire.
“Eravamo insieme da 8 anni, fidanzati in casa da quando ne avevamo 17. Io volevo qualcosa di più, lui si accontentava di vivacchiare, sorretto a turno da me o dalla sua famiglia. Un bel giorno, lungo l’autostrada del sole che ci avrebbe portato in Campania, qualcosa è scattato dentro di me. Sono andata alla toilette e al posto di aspettare il mio fidanzato ho messo in moto la macchina e sono andata a Roma da sola. È stata la mia unica, vera fuga d’amore.”
Ride al telefono Nadia, ha la voce di chi ha trovato il proprio posto nel mondo. Non necessariamente di chi è felice, ma di chi sa cosa vuole.
“In fondo la macchina era mia, la benzina la pagavo io e avrei pagato anche l’albergo a Napoli. Il mio fidanzato di allora era perennemente disoccupato…”
Nadia lavora per una grande azienda di cosmetici adesso, anche se da ragazzina fantasticava di diventare scrittrice.
Il Covid, a quanto pare, ha risvegliato tante passioni sopite, tanti non fatti. Durante il lockdown lei ha ripreso in mano il suo vecchio diario, su cui aveva scritto ogni sera dai 14 ai 21 anni, e l’è venuta voglia di riprovarci.
“Ero bravina da ragazza; la mia professoressa di lettere mi aveva iscritto a diversi concorsi per spronarmi, ma il famoso fidanzato dell’autogrill remava contro.”
Quest’estate si è presa una pausa da tutto e da tutti e si è rifugiata in Trentino tra monti e spa.
“Ho ripreso a scrivere. Passeggiavo, facevo massaggi e di pomeriggio scrivevo ovunque, al bar, in camera, a bordo piscina… Non credo di aver prodotto nulla di particolarmente valido, ma mi ha fatto un gran bene. Sono tornata da mio marito rinata.”
Quando la sua migliore amica ha visto la traccia di ottobre, le ha girato il link.
“Secondo me, se racconti la tua fuga dell’autogrill, vinci, mi ha detto. E mi ha portato fortuna. Ho scritto di getto, in meno di un’ora, poi ho risistemato il tutto eliminano le ripetizioni, levando le parole in abbondanza, ho ripulito il testo nel week-end prima della deadline. E adesso eccomi qui a chiacchierare con voi. Mi avete fatto quasi venir voglia di contattare la mia vecchia prof di lettere e darle una soddisfazione…”
Nadia ride ancora, ci parla della sua idea di un romanzo alla Bridget Jones, della sua capacità di divorare libri in treno. Ha smesso di guidare la macchina per andare al lavoro e oggi preferisce il treno per poter leggere.
“Adoro Amélie Nothomb, Guillaume Musso, ma anche Baricco, David Sedaris e ultimamente mi sono intrippata per Tommy Orange, un americano che ha esordito nel 2019 con il romanzo “Non qui, non altrove” e si è ritrovato tra i finalisti del Pulitzer…”
Ci manca, ma ne abbiamo letto una recensione entusiasta da parte di Lady Margaret Atwood, per cui rimedieremo a breve.
I racconti preferiti di Nadia questo ottobre sono stati “Quella notte che andai a dormire alle dieci” di Il Cantagallo e “Storia di un pensiero felice” di Loredano Cafaro.
“Il primo mi ha sorpreso perché non avrei mai letto la fuga in quel senso e in più è scritto molto bene; il secondo è il Piccolo Principe delle fughe, vorresti credere a tutto ciò che c’è scritto lì dentro e guardare il mondo da quel binocolo per sempre.”
Le ricordiamo che Amélie Nothomb si alza da 20 anni alle 4 di notte e scrive fino alle 8 di mattina. Poi torna a dormire.
“Potrei morire.” – e ride.
Amélie è anche famosa per rispondere a tutte le mail che le arrivano in posta, tranne quelle in cui le chiedono una foto nuda.
“Allora devo proprio scriverle!”

“Autogrill” di Nadia A.

Flemmatica. Odiava quella parola. Il modo in cui suo marito univa le labbra per marcare la doppia emme, la lingua che premeva sotto agli incisivi superiori per ostinarsi sulla T, quell’espressione da prete che aveva anche la prima volta.
Giudicava il mondo dall’alto del suo altare e lui invece non viveva mai, incasellava giornate dentro a un pallottoliere di vita in cui i conti erano sempre gli stessi, le mosse pure. Altrimenti sarebbe stato incapace di funzionare, un tagliaerba sul tappeto di casa, una scopa di saggina nel mare.
Giulia lesse il cartello. Qualcosa le si squarciò dentro, rovesciando la sua flemma a terra.
“E se ci fermassimo all’autogrill? I ragazzi hanno fame, sono le 12…”
“Ma amore, tu non mangi mai all’autogrill… Preferisci sederti al tavolo dell’osteria Bruno quando ormai siamo arrivati al mare…”
“Era per dire. E poi è il 1° di agosto, l’osteria sarà piena alle 13,30… Ci toccherà aspettare.”
Mario rimase in silenzio per 2 chilometri netti, cambiare i piani per lui era inconcepibile, la sicurezza delle abitudini infondeva sicurezza nelle sue decisioni e mai viceversa.
“Mi sembra una follia, ma se ci tieni tanto…”
Giulia si sentì bene per la prima volta in dodici anni di matrimonio identici uno all’altro.
Si mise a ridere addirittura. Preoccupando i suoi figli.
“Ma’ ma ti senti bene?”
“Tranquilli ragazzi, ripensavo agli anni in cui io e vostro padre pranzavamo in autogrill. Allora lo facevamo per risparmiare, al mare ci andavamo in moto e vostro padre mi faceva partire alle 6 di mattina come per una partita di caccia.”
Giulia rise di nuovo. Qualcosa dentro di lei, inceppato da anni, aveva ripreso a funzionare.
“Pranzavamo alle 10 di mattina perché eravamo in piedi dalle 5. La gente pucciava il cornetto nel cappuccino e io e vostro padre ci facevamo riscaldare il panino con la cotoletta!”
Giulia rideva. Le sembrava di poterlo fare adesso, perché il pericolo era scampato.
Non avrebbe più vissuto come prima e saperlo con così tanta certezza la faceva sentire capace di tutto.
“Giulia, la pianti? Torna in te.”
Mario parcheggiò l’auto dopo 3 manovre complicate; dopo mangiato, voleva mettere in moto e partire senza dover fare retromarcia.
Giulia non aprì bocca.
“Allora scendi o cosa?”, le domandò Mario col tono della voce seccato.
Giulia non riusciva a muoversi, stava godendosi il momento. Erano tutti e tre in grado di vivere senza di lei, di pranzare, cenare, esistere, sbagliare e riprovarci senza bisogno di una moglie o di una madre. Come aveva fatto a non capirlo prima?
Mario e i suoi due figli maschi non sarebbero morti senza di lei.
Era lei quella che stava morendo dentro.
Guardò suo marito, infilò la mano nella borsetta e gli fece cenno di volersi passare il rossetto sulle labbra.
“Vostra madre è la persona più fle-m-m-a-T-ica della terra ragazzi. Non potevi mettertelo prima?! Coraggio andiamo…Giulia! Noi ti aspettiamo dentro così forse facciamo meno coda alla cassa.”
Giulia fece ciao con la mano. Loro le voltavano le spalle ma lei continuava a salutarli.
Dopo qualche minuto aprì la cerniera della borsa, in cui teneva le chiavi di scorta della macchina, e scese.
Le sembrò di tagliare un traguardo, di segnare il goal della vittoria.
Girò attorno alla macchina, aprì la portiera dal lato del guidatore e si sedette al posto di guida.
Accese il motore e poi la radio. Stavano trasmettendo Mina.
Se telefonando io potessi dirti addio
Ti chiamerei
Se io rivedendoti fossi certa che non soffri
Ti rivedrei
Giulia si mise a cantare e imboccò l’uscita.
Ma non so spiegarti
Che il nostro amore appena nato
È già finito
Premette la lingua sotto agli incisivi superiori per pronunciare la T di finito e si mise a ridere ancora.

 

3° classificato: “Anna” di Grazia Palmieri

Il racconto costruisce in poche righe una fuga dalla propria casa e dalla propria relazione. Arriva efficacemente al lettore grazie al ritmo e allo stile dell’autrice, grazie a cui scappiamo anche noi, alla fine della pagina, insieme ad Anna. Un racconto in cui molte donne possono immedesimarsi e che non può lasciarci indifferenti.

Intervista alla Terza Classificata del contest di ottobre 2021: Grazia Palmieri

E poi all’improvviso arriva Grazia tra le nostre penne felici. Ed incarna tutto ciò che sognavamo accadesse quando abbiamo messo in piedi il concorso letterario di BSF.
Grazia è una mamma, nei fatti, ma anche nelle parole, nei pensieri, nell’accoglienza di ogni storia dentro di sé e nella capacità di farle germogliare sul foglio con cura e slancio.
Ha sempre amato la scrittura, fin da bambina; è alla ricerca di un quaderno su cui da piccola scriveva le sue storie, ma le case – si sa – fagocitano ciò di cui non abbiamo più bisogno per trasformarlo in qualcosa di ben più potente: i nostri ricordi.
A Benevento, dopo studi classici e la laurea in scienza della comunicazione, ha lavorato per il giornale locale fino all’avvento del suo secondo figlio. Se c’è una cosa che la scrittura giornalistica affina è il controllo nero su bianco e l’equilibrio narrativo; raccontare un fatto reale allena a garantire struttura e armonia ad uno scritto, è quasi una scuola raffaellesca sul dove e il come vada puntata la luce all’interno di una storia, e Grazia è capace di fare proprio questo nei suoi racconti: di dare compiutezza e dinamismo ad una trama – anche quella molto esile dei nostri racconti brevi – accendendo, spegnendo, contrapponendo, guardando le cose dal basso e poi dall’alto e viceversa ancora, con disciplina e allo stesso tempo tanto cuore.
Ve l’abbiamo detto: è mamma, sia nella vita che davanti al foglio, sa quando esserci e quando scomparire dietro le quinte dei suoi racconti.
“Il giornalismo mi ha reso meno timida e più sicura delle mie capacità. Poi, è ovvio, quando si partecipa ad un concorso subentra il gusto personale di un giudice; se non vinci tendi a viverla come una piccola sconfitta e a mettere in discussione la tua capacità di scrivere, ma bisogna imparare a guardare le cose in prospettiva.”
Il giornale per cui lavorava ha chiuso per difficoltà economiche, ma la pandemia ha restituito a Grazia il tempo per riprendere in mano la sua grande passione. Ha seguito un corso di scrittura creativa online lo scorso marzo ed è tornata a scrivere, partecipando a concorsi letterari come il nostro e ad un concorso nazionale che si occupa di fare beneficienza per i medici in Guam. Il nostro l’ha vinto, mettendosi al collo la medaglia di bronzo, nel secondo caso il suo racconto è stato scelto tra i venti migliori.    
Non si tratta più di giornalismo questa volta ma di fiction, eppure i suoi istinti sul foglio sono ancora intatti e l’empatia per cogliere i fili giusti da muovere dietro e dentro ai personaggi pure.
“Anna” è una fuga ben orchestrata sul foglio, così ben orchestrata che le righe scorrono via via più veloci sotto la pancia di chi legge fino alla libertà conquistata dalla protagonista. Il racconto arriva perché l’intenzione è autentica, le parole vibrano, niente è posa letteraria, tutto passa attraverso Grazia prima di cadere sul foglio.
“Quando scrivo provo a concentrarmi su una sensazione, a sentirla forte dentro di me, per poi regalarle nuova vita nel testo. E fino a quando non ho esaurito questo processo non smetto di scrivere, per me è come avere un tarlo che picchietta nella testa…”
Nel caso di “Anna” il tarlo ha picchiettato per un pomeriggio intero sul divano, mentre il bimbo più piccolo dormiva. Le ultime correzioni apportate la sera stessa.
Grazia sogna di diventare scrittrice, anche se non osa dirlo; per ora le basta aver recuperato la sua passione giovanile e ritagliarsi “le sue piccole vie di fuga giornaliere” scrivendo racconti.
“Un romanzo è un impegno troppo grosso per la mia situazione attuale, ma un domani chissà. Intanto ho ripreso anche a leggere. Valérie Perrin con il suo Cambiare l’acqua ai fiori, che mi ha fatto sia ridere che piangere, e Carlos Ruiz Zafón con Il Prigioniero del cielo, che è scritto davvero bene.”
Grazia, invece, con i suoi tre racconti per noi ci ha fatto sempre tirare un gran sospiro di sollievo, illuminando ogni storia con il lato positivo delle cose e delle persone.    
“È come se sulla carta potessi imporre i miei lieto fine alle cose, far accadere ciò che vorrei accadesse nella vita vera e che spesso non accade…”
Non a caso ci indica “Il filo di Arianna” di Benny H. tra i suoi racconti preferiti di ottobre, la fuga architettata meticolosamente per mesi da parte di una donna cieca tenuta prigioniera per anni dal suo badante. Il buio inziale e la luce alla fine del tunnel.
Non posso morire, ho ancora delle cose da fare. Poi avrò tutta la vita per morire.” – ha scritto Zafón.
Noi, a Grazia, auguriamo tutta una vita per scrivere.

 

“Anna” di Grazia Palmieri
La macchina è lanciata a tutta velocità. La strada è deserta. La musica dell’autoradio riempie l’aria. Cantiamo a squarciagola, all’unisono. Il vento ci scompiglia i capelli, le mani sono strette in un abbraccio. Una lacrima mi bagna il viso. Potrei raccontare una bugia. La verità è che sto piangendo. Non di tristezza o paura. Tutt’altro. Ho i battiti a mille. L’adrenalina attraversa ogni terminazione nervosa. Potrebbe schizzare fuori dalle mie membra come un mostro senza corpo né testa e avventarsi su quanti ci ostacolano costruendo un finale diverso per noi due.
Non siamo state fortunate fino a oggi. Men che meno coraggiose. Abbiamo permesso alla vita di scegliere per noi, senza obiettare. Un sortilegio ha trasformato le due ragazzine che reclamavano indipendenza in robot progettati a svolgere poche essenziali funzioni: cucinare, lavare, stirare, sistemare e soprattutto obbedire. Guai a non farlo. Immagino che i miei vicini abbiano acquistato tappi per le orecchie in formato scorta.
Come avrebbero fatto altrimenti a non sentire le urla, i pianti, gli insulti?
Come avrebbero fatto a salutarmi col sorriso quando mi incontravano per le scale del condominio? Notavo un po’ di imbarazzo solo quando, per caso, ci trovavamo a fare qualche piano insieme in ascensore. In quell’occasione presto le frasi di convenienza lasciavano il posto al silenzio. Abbassavo lo sguardo – per vergogna – e osservavo i loro piedi picchiettare nei mocassini Tod’s. Mi pareva addirittura tirassero un sospiro di sollievo quando finalmente le porte si aprivano e potevano tornare alle loro scintillanti vite dimenticandosi di me. O forse lo immaginavo soltanto. In fondo se non ero io a ribellarmi perché avrebbero dovuto difendermi dei perfetti sconosciuti?
Avevo incontrato Matteo a un matrimonio di una cara amica. Dopo un anno l’avevo sposato. Un colpo di fulmine, piuttosto un colpo di testa, direi. Bastava davvero poco a fargli perdere le staffe trasformandosi dall’uomo pacato che tutti conoscevano in un aguzzino.
In più ce l’aveva a morte con me da quando aveva capito che non gli avrei mai potuto dare un figlio.
Abitavamo da tre anni in un condominio di quelli di gente perbene.
La sua piccola azienda aveva avuto successo. Ci eravamo fatti i soldi – come si dice dalle nostre parti – e ci eravamo trasferiti. Casa più grande, macchina più grande, televisione più grande.
Più piccolo era diventato solo il nostro amore, ammesso che fosse mai esistito.
Me lo chiedo mentre lo guardo dormire. È nella medesima posizione da un paio d’ore. Pare una Bella Addormentata al maschile. Solo che in questa storia non ci sarà nessuna principessa a salvarlo.
Spero di non aver esagerato col sonnifero. A dire il vero, nel profondo, vorrei non si svegliasse più.
Ho preso la valigia e messo dentro un po’ di roba che mi servirà per il viaggio, soldi contanti e nient’altro. In questa casa lascio una parte di me che non è la benvenuta nella mia nuova vita.
Lisa è stata puntuale, come sempre.
Ci siamo riconosciute qualche mese fa, per caso, alla cassa del supermercato.
Siamo anime affini, tradite dalla vita e da chi diceva di amarci. Lei ha denunciato quella bestia del marito. Io non ne ho avuto il coraggio.
Siamo partite.
Dall’istante in cui la porta si è chiusa, sbattendo dietro di me, ho sentito l’aria riempirmi i polmoni e il sangue tornare a scorrere nelle vene. Sorrido, non riesco a smettere. Sono di nuovo Anna.
Non so quanto durerà il nostro viaggio ma ne assaporerò ogni istante come un affamato che brama il cibo. Voglio sentire il sole bruciarmi il viso e la pioggia bagnarmi i capelli, riconoscere a occhi chiusi il profumo dei fiori in primavera, stupirmi per la prima neve della stagione, stare distesa in un prato come quando da bambina le nuvole si trasformavano in draghi e cavalieri.
Lisa mi guarda. Spinge sull’acceleratore. Non torneremo indietro.

 

MENZIONI D’ONORE ottobre 2021

Non esistono tracce facili e tracce difficili, esistono solo gesti tecnici e autenticità sul foglio bianco. Il concorso di questo mese chiedeva di raccontare la vostra metafora di fuga, quale tra le costrizioni del vivere, tra fisiche e mentali, vi fa scaturire più prepotentemente il bisogno di evasione.
Ci sono 3 racconti precisi, oltre a quelli finiti sul podio, che meritano le nostre menzioni d’onore per liricità d’ispirazione e prosa.
A voi le nostre honorable mentions di ottobre:

 

“Storia di un pensiero felice” di Loredano Cafaro

 

Una vertigine letteraria fattasi racconto. Un’intonazione sul foglio che fa sognare, riflettere ed emozionare quasi senza volerlo, e soprattutto senza pretenderlo. Scrivere a volte è uno stato di grazia.

“Sally e Nathan” di Madame Elsa

 

L’eutanasia raccontata con chirurgica delicatezza emotiva. Una questione di millimetri letterari. Complimenti!

Elementare di Manu S.

Una metafuga, alla Charlie Kaufman. La madre di ogni evasione sia per ogni scrittore che per ogni personaggio. Ci vuole già coraggio a smascherare “l’elefante nella stanza di chi scrive”. In 501 parole ci vuole fottuto estro. La nostra menzione è una medaglia al valore.  

GIURIA POPOLARE di OTTOBRE 2021

 

È ufficiale: non siamo un popolo di evasori materiali. Forse l’Italia è una prigione troppo bella per farci immaginare un mondo migliore. Però siamo decisamente evasori mentali e questo ottobre i racconti che sono stati più apprezzati dal pubblico social sono i più onirici e loro fughe le più interiori…
Complimenti a Stefano Paiuzza, la nostra medaglia d’argento di settembre, con un racconto surreale, quasi kafkiano, con il protagonista più improbabile di una fuga che possiate immaginare. Oltre 50 i like ricevuti dal suo “Cruscotto” e suo il premio della giuria popolare.
Il secondo racconto più laikato è stato invece quello di Giovanna Adelaide Busacca: “Fuga in dissolvenza con lieto fine”. Quale fuga migliore del sogno, di un desiderio che coviamo in noi fino a dargli consistenza nei nostri pensieri, potere nelle nostre giornate, capacità di trasformazione?
A ruota si sono piazzati nel gradimento del pubblico social: “Quella notte che andai a dormire alle dieci” di Il Cantagallo, la storia decisamente più noir in gara, e “Storia di un pensiero felice” di Loredano Cafaro che è il suo esatto yang.

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La partecipazione richiede un pagamento di 15€ e la registrazione al sito, che la prima volta avverrà in fase di checkout.

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