aprile 2021

 

Podio del Contest di aprile 2021

 

 

Dopo un anno senza arte, Breve Storia Felice ha deciso di portare l’arte da voi mettendo insieme gesti creativi che sono più simili di quanto si pensi. “Scrivere” – ha detto qualcuno – “è dipingere con le parole.” Vi chiediamo di inventarvi un racconto lasciandovi ispirare dal quadro di Sara Giovanazzi, pittrice emergente milanese che si è fatta affascinare dal nostro progetto e ha messo a disposizione una delle sue tele preferite per fornirvi un lampo d’ispirazione. Che il racconto sia dettato da ciò che ognuno di voi vede dentro alla sua tela, o riguardi il quadro in sé e la sua storia, dipende da voi. Stupiteci! Il racconto più laikato riceverà in premio un quadro originale dell’artista fatto appositamente per Breve Storia Felice.

 

Conosciamo un po’ meglio l’artista a cui dobbiamo la traccia del mese! Sara Giovanazzi è una pittrice emergente milanese. Ventottenne, il suo amore per la pittura l’ha folgorata da bambina come fanno tutte le grandi passioni. Sua mamma, cogliendo la sua inclinazione artistica, ha chiesto ad un pittore vicino di casa di indirizzare il talento della figlia con lezioni private, e così la piccola Sara si è trovata a serate di pittura a tema in mezzo a pittori adulti ed esperti. Sara ha masticato pittura figurativa, olio su tela, per anni, fino a quando ha trovato il proprio linguaggio artistico, i suoi personali gesti pittorici tra acrilico, smalti e grandi dimensioni. Il quadro che ha messo a disposizione di Breve Storia Felice come traccia creativa si intitola “Wonderland”, Il paese delle meraviglie. Due metri e 50 per un metro e 80, uno dei suoi “viaggi su tela” – come le piace dire – che preferisce e che si augura ispiri i racconti più vari.
La svolta è avvenuta a febbraio dell’anno scorso: proprio mentre il mondo si chiudeva a causa della pandemia, Sara è rinata a nuova vita dopo un matrimonio fallito. Con tanto tempo libero tra le mani si è gettata su nuove tele, nuove tecniche, nuove visioni. E oggi, dopo un anno e mezzo, quasi tutta la sua ultima produzione artistica ha trovato casa in giro per l’Italia e anche a Londra, dove è volata una delle sue opere più voluminose.​ Non vede l’ora che si possa tornare a godere l’arte dal vivo, sta organizzando una personale per l’autunno prossimo ed è alla ricerca di uno spazio espositivo affinché i suoi quadri parlino a tu per tu con il prossimo. Intanto, noi di Breve Storia Felice siamo fieri di fornirgli il nostro piccolo spazio virtuale per emozionare il nostro pubblico con la danza dei suoi colori.
Se un quadro non vi basta, visitate la pagina Instagram dedicata alle sue opere @sg_artpainting
I suoi pittori preferiti sono Monet, Pollock e Kandinsky. E proprio quest’ultimo amava dire che ogni opera d’arte è una creatura del suo tempo, è​ la madre dei nostri​ sentimenti. Il quadro di Sara quali sentimenti genererà e partorirà per voi?​

 

 

Il giudice d’onore di aprile è Maria Vittoria Baravelli, vera e propria agitatrice della scena artistica italiana a soli 27 anni. Racconta l’arte, i musei, gli artisti sui social, cura mostre, e continua a studiare – lettere moderne per la precisione – perché “la cultura è sempre stata come un cappotto per me, che indosso con grazia per difendermi dai mali del mondo”. Così ama l’etimologia, conosce letteralmente il latino e si definisce “Art Sharer”, al posto di influencer, per ribadire l’urgenza di un dialogo più profondo tra cultura accademica e le nuove generazioni.  “Il mio obiettivo principale è quello di condividere le informazioni e la cultura con il mio pubblico, invece la parola stessa Influencer rimanda all’idea di proporre qualcosa condizionando e influenzando gli altri. E questo non mi piace affatto.”.
Ravennate di nascita, milanese d’adozione, si interessa all’arte in tutte le sue forme e aspira a metterle in contatto. Per questo non potevamo scegliere giudice migliore ad aprile, al nostro primo tentativo di far dialogare pittura e scrittura sullo stesso foglio; perché Maria Vittoria, come noi, adora le parole quando sono messe bene in fila, quando suscitano al pari di un’opera d’arte “un’emozione artistica”, come la definiva Aristotele. E poi Maria Vittoria non ne fa mai una questione di nuovo o sorpassato, ma di ciò che è giusto che resti e ciò che è giusto che vada.

 

Maria Vittoria Baravelli ha letto accuratamente tutti i vostri racconti e ha deciso di premiare tre storie narrate con tre registri completamente diversi, da penne che hanno un atteggiamento verso la scrittura completamente differente, ma che le hanno lasciato qualcosa in più rispetto alle altre.
“Mi piace l’idea di premiare la varietà e la possibilità di essere sul foglio chi si è senza precludersi la possibilità di farsi capire dagli altri.”.

1° classificato: Il primo bacio di Lisa B. Good

Perché la definizione del primo bacio come “aurora boreale dell’adolescenza” racchiude il quadro di Sara e il racconto di Lisa nell’abbraccio letterario che ho preferito su tutti. Una piccola perla.

 

Intervista al nostro primo vincitore, la Breve Scrittrice Felice di marzo: Lisa B. Good

Lisa è stata libraia per tanti anni, in Inghilterra. Si è sposata giovane, ci dice, con un inglese. Si è trasferita senza saper far nulla al di fuori di leggere. Così ha pensato di aprire un piccolo negozio di libri in una piccola cittadina del Devon dove è stata felice tra libri e storie.
“Leggevo tutto il tempo, arrivava un libro nuovo in negozio e io mi sentivo privilegiata per avere la possibilità di leggerlo per prima.”.
Il matrimonio è finito dopo tre figli all’attivo. È tornata in Italia con tre bambini in età scolare e qui aprire una libreria è stato molto più complicato. Ha rinunciato per motivi economici, ripromettendosi di riprovarci in un secondo momento. Ma non ha mai smesso di leggere. Né di scrivere nel tempo libero.
Le piace raccontare l’infanzia e l’adolescenza, l’età dell’innocenza, come la chiama lei, “in cui si è innocenti perché si crede che tutto sia ancora possibile. Io sono colpevole di aver smesso di crederci.”.
Le piace invece leggere i gialli alla vecchia maniera, quelli di Agatha Christie o di Simenon, oppure le storie d’amore di Jane Austen e le grandi saghe famigliari.
Ha più libri che abiti e cassetti pieni di storie scritte al computer e poi stampate su fogli A4 che a volte rilegge con una birra in una mano e la sigaretta nell’altra.
A Breve Storia Felice piace il suo modo di avvolgerti con la scrittura. Lisa non va per il pugno allo stomaco o per l’effetto a sorpresa, vuole che ti affezioni ai suoi personaggi, che sia l’umanità a vincere sempre sulla pagina, in tutte le sue sfaccettature diverse. Una volta sono due fratellini che giocano a fare i giardinieri del Re, un’altra volta un commissario cinico e arcigno che si intenerisce nei confronti dell’assassino, o come nel caso de Il Primo Bacio, il suo racconto vincitore di aprile, una donna che dentro ad un quadro astratto intravede “l’aurora boreale della sua adolescenza”, quello squarcio nell’esistenza senza nuvole di una ragazzina in cui ti accorgi di non voler più vivere di sole certezze, di pioggia e sole, di terra e luna, ma preferisci gli effetti ottici speciali.
“Già, ridacchia… Quelli che ti portano a prendere un aereo per l’Inghilterra a 25 anni e fare tre figli biondi che parlano come Joan Peter Sloan.”.
Non vuole svelarci che lavoro faccia e preferisce usare uno pseudonimo perché in famiglia non hanno mai visto di buon occhio questa sua voglia di diventare scrittrice.
“È un lusso che mi concedo ancora in segreto, senza dirlo a nessuno. Una madre single deve avere i piedi ben piantati a terra.”.
Tra gli altri racconti in gara ha amato la favola domestico-fantastica di Cyrcle Bob, Morra Cinese (la vera storia della creazione), e Una storia d’amore di Lina Ray.
“Mi piacciono le storie con una patina romanzata evidente, mi piace che la vita reale resti vita reale e la scrittura ci sollevi da terra…”.
Le piace anche scrivere di getto, perché si inneschino collegamenti mentali che le riescono solo d’impulso. “Poi rileggo tutto con calma e correggo le ripetizioni, i verbi, tutto quanto il resto. Ma la prima stesura è probabilmente il momento che preferisco.”.
Non c’è niente da fare: Lisa B. Good è una donna da primi baci. L’unica minestra riscaldata su cui vorrebbe scommettere è una piccola libreria tutta italiana.

 

Il primo bacio di Lisa B. Good

Il mio primo bacio è stata la mia aurora boreale.
In molti hanno provato a descriverlo a parole, in tanti ne hanno scritto, ma il primo bacio è qualcosa che vedi dentro, una visione che resta intrappolata per sempre dietro alle nostre pupille e riaffiora nella mente quando la vita ci fa più bene o male del solito.
Io il mio l’ho aspettato per mesi, l’ho provato contro lo specchio di casa, quello in salotto, per essere certa che la rivoluzione della mia lingua attorno alla sua scaldasse più del sole, sognasse meglio della luna.
Lui era il più bello della scuola, io semplicemente carina. Lui era il più forte a calcio, io pensavo a divertirmi, non a vincere. Lui posò i suoi occhi su di me ad una festa e io fui sua per sempre. Forse una parte di me ancora lo è, a 30 anni di distanza.
Mi spinse contro la parete del bagno, la festa rumoreggiava nella stanza accanto ma noi eravamo su un altro pianeta, fatto di sospiri e alito.
Mi trafisse gli occhi con il suo sguardo turchese, si appoggiò a me come una coperta calda, sentivo il suo battito del cuore confondersi con il mio.  Per un attimo ripassai i movimenti come se fossi ancora contro lo specchio, ma durò poco il pensiero, il volere, il potere. Le sue labbra sfiorarono le mie e la sua lingua mi aprì al futuro, all’età adulta. Anch’io avrei voluto vincere dopo quel primo bacio, anch’io avrei dato un ordine alle cose e alle persone.
Mi inondò la bocca di sé, del suo sapore. Fu un’esplosione di colori, una festa di coriandoli tra il mio petto. Sentii un nuovo battito nascere da dentro, un secondo cuore rimbalzare contro le pareti del mio corpo acerbo e frantumarsi in mille pezzi di noi.
Forse un giorno qualcuno lo dipingerà per me, l’aurora boreale della mia adolescenza.

 

 

2° classificato: La maleducazione del punto verde di Donniebrasco

Perché è il racconto scritto meglio, con più padronanza e più estro allo stesso tempo; la sintesi perfetta tra disciplina e talento che poi è alla base di ogni forma d’arte. Narra la genesi di un quadro nella testa e nel corpo di un pittore, che è il terreno più mutevole da fotografare con le parole. Complimenti.

 

Intervista al Secondo Classificato del contest di aprile: Donniebrasco

Scrivere è un continuo abbandonarsi e riprendersi sul foglio. Chi vi racconta che sia estro, o folgorazione pura, in realtà non scrive, fa tutt’altro; tuttalpiù si sfoga su carta.
Per Donniebrasco scrivere è lavoro, da parecchi anni. Fa il notaio, redige atti ogni giorno, attenendosi a rigide regole semantiche e strutturali.
“In quel frangente il mio dovere è essere il più chiaro e intelligibile possibile; poter scrivere un racconto invece rappresenta la libertà, uscire da una gabbia o sviare da un tracciato già percorso mille volte per vedere dove mi porta il sentiero della creatività. Il limite di parole dei vostri concorsi fa il resto. È come se quell’ostacolo affilasse la mia immaginazione o la rimettesse in squadra…”
Che poi è ciò che amava dire ai circoli letterari il poeta statunitense Robert Frost: “Scrivere versi liberi senza alcuna esigenza autoimposta o limite convenzionale è come giocare a tennis senza rete; a lungo andare il talento letterario è come un muscolo che si atrofizza se non c’è qualcosa che lo obblighi a sforzarsi”.
La penna di Donniebrasco non corre quel rischio, mai. Da più di un anno ci regala racconti raffinati che non sono per tutti, che ruotano attorno a una riga o a un dettaglio e poi si ripiegano su uno o più lati narrativi diventando altro. Il racconto del febbraio scorso, Downunder qualcuno mi ama, che gli è valsa la menzione d’onore da parte della redazione, l’abbiamo definito un origami di parole minuziosamente piegato tra le righe, un piccolo frammento di una storia ben più grande tenuto tra le dita come se fosse il centro dell’universo.
Una scrittura simile richiede smisurata fantasia e congegno da parte di chi scrive e costante attenzione e ingaggio da parte di chi legge; merce rara di questi tempi letterari, in entrambi i casi.
“Ho passato gli anni scolastici a leggere Tolstoj, Dostoevskij e poi gli Inglesi, Dickens, ma la vera scintilla è scoccata con La Coscienza di Zeno. Il protagonista diceva una cosa e poi cento pagine dopo si contradiceva, non sapevi a cosa credere, da che parte stare, cosa aspettarti, e alla fine tutto era funzionale alla narrazione di un personaggio del tutto nuovo rispetto ai classici protagonisti del passato, un uomo combattuto tra diverse possibilità e in perenne equilibrio precario. Quello mi ha sempre attirato della scrittura: che ci sono degli schemi, abituali, ma gli scrittori più bravi sanno ribaltarli per dar vita a dei capolavori senza tempo.”
Quello che a noi fa venir voglia di versarci da bere ogni volta che riceviamo in posta un racconto di Donniebrasco è l’inarrendevole ambizione a stupirsi, è lo spostare l’asticella creativa ben oltre la tacca del confort per provare almeno una volta il brivido dello stato di grazia, quell’attimo in cui tecnica e ispirazione soffiano così forte nella direzione giusta da farti atterrare sul foglio bianco ben più lontano di quanto sperassi.
Nel racconto di aprile, La Maleducazione del punto verde, Donnie ha passato due notti, dopo aver messo a letto i bambini, a pensare a una possibile storia dentro al quadro di Sara Giovanazzi. Ha fissato la foto della tela dal suo cellulare e gli è venuto in mente una sorta di colloquio tra pittore e la propria opera d’arte, un incontro scontro tra i propri istinti e gesti artistici e ciò che prende vita da essi reclamando autodeterminazione. La figura di un Pollock ubriaco in sottofondo, una conseguenza naturale e potente dell’abbandonarsi e riprendersi sul foglio di cui dicevamo all’inizio.
In letteratura è un terreno minato raccontare la genesi – ogni genesi – la potenza che si fa fatto, l’intenzione che diventa realtà. Figuriamoci se di concepimento artistico si tratta; i cliché sono dietro l’angolo, la ridondanza o al contrario la vaghezza gli errori più comuni. E invece il racconto di Donnie è vivido e impronosticabile, esattamente come l’angelo sovversivo che guida e disturba ogni artista mentre insegue la propria ispirazione. L’impalpabilità di un attimo irripetibile che prende invece forma e carattere.
“Mi ha fatto troppo piacere questo podio, mi ha fatto piacere che sia piaciuto a qualcun altro. Ribadisco: scrivo questi racconti per sviare dalla scrittura rigida del mio lavoro, per sentirmi libero di inventare e fare accadere qualsiasi cosa sul foglio, se poi qualcun altro ci casca la soddisfazione è doppia.”
Il racconto che l’ha sorpreso di più tra quelli in gara è Il quadro del Führer di Bastio, la storia di un bunker segreto in cui Hitler dipingeva. Il quadro-traccia di aprile è opera sua, un qualcosa di così colorato e leggero partorito dall’uomo più buio della storia.
“Mi è piaciuto perché partiva da un’ispirazione diametralmente opposta alla mia e perché non mi aspettavo assolutamente quel finale.”
Gli è piaciuto perché ha qualcosa in comune con la sua scrittura e che non si può insegnare: sa rallentare i battiti del pensiero e attendere che la parola esatta si faccia avanti.     

La maleducazione del punto verde di Donniebrasco

Jackson si sfregò gli occhi e si girò verso la bottiglia. Il livello del liquido era identico a quello del giorno prima.
Nel quadro però notava una sorta di disarmonia. Non era lo stesso lavoro abbandonato la sera prima per la stanchezza.
L’idea era di muoversi lungo la tela su righe parallele, come in un pentagramma, per poi passarci sopra le gocce di vernice lasciandosi guidare dall’improvvisazione. Un jazz con tempera; aveva coniato il termine sull’onda dell’entusiasmo, e già immaginava di leggerlo sulla sezione cultura dei giornali.
Quell’illuminazione aveva triplicato le forze, al punto da dimenticarsi di mangiare per un giorno intero. Le poche pause che si era concesso erano state innaffiate da una bottiglia di vino, ma non aveva mai avvertito ebbrezza.
Come mai allora non si ricordava di quel verde nel bordo destro?
Era un verde più vivo e caldo nel centro e come olivastro e spento ai margini, ma innegabilmente definito.
Alla ricerca di un bicchiere, indietreggiò di due passi. Dal nuovo punto di osservazione poteva riconoscere in modo netto il movimento. Nello stesso identico modo in cui in certe notti riconosceva la Via Lattea.
Non si trattava di un alone, quanto di un risalto, un’aurea che sembrava palpabile.
Il verde aveva iniziato il suo percorso da un’altra parte della tela e aveva indugiato in percorsi non intelligibili per poi adagiarsi a destra. O a sinistra se si fosse guardato il tutto in modo simmetrico, visto che la tela era stata posata sul pavimento.
Ma come era possibile? Una goccia di colore che prende vita?
La maledetta bottiglia. Non la trovava mai quando ne aveva bisogno.
Una sorsata spense l’arsura in gola, ma stomaco e cervello ancora non riuscivano a concepire una spiegazione.
Vuotò un altro bicchiere e si avvicinò per seguire nel dettaglio la traiettoria di quella vernice animata. Il suo dito tremante si avvicinava al nido blu oltremare che inizialmente gli era parso poco intenso. Poteva avvertire ancora le scintille provocate dall’urto con la goccia verde.
Un movimento irrazionale, quasi un fiutare una scia aveva provocato il disordine nella tela, evocando il big bang della creazione.
Tutto merito o colpa del verde. Le spallate prepotenti avevano lasciato spazio ad altri colori per colmare il vuoto. Rosa e arancio scorrevano lungo piani inclinati impercettibili per forza d’inerzia. Contorni screziati si confondevano dando origine a nuove ombre e chiarori.
La tela aveva assunto una nuova veste e una nuova forza, soddisfacente per molti versi. Quella goccia sfrontata era stata un secondo pittore con volontà inarrestabile.
Jackson provava un brivido che nessun liquore riusciva a calmare. Avrebbe voluto assistere alla ribellione di quell’angelo sovversivo mentre accadeva.
Ma si rendeva conto che non sarebbe stato possibile. Senza la sua mano, non ci sarebbe stato quell’allineamento perfetto e casuale di colori e spazi.
Il verde aveva solo seguito la natura che dall’ordine cerca il disordine e viceversa.
Non avrebbe saputo riprodurre la perfezione nemmeno in un milione di tentativi. Ma non sapeva provare risentimento. Anzi, iniziò ad esserne grato e sorrise scolando la bottiglia.

3° classificato: Discesa nel caos di Bamby

Perché mi ha divertito moltissimo e mi ha ricordato il registro ironico ma colto dello scrittore Guido Catalano (quello della Smemoranda per intenderci). Il riferimento a Pollock e Hirst la chicca finale.

Intervista alla Terza Classificata del contest di aprile: Bamby

“Mi hanno dato questo soprannome in tribunale, la prima volta. Dicevano che ero troppo ingenua.”.
Bamby fa l’avvocato a Milano, ormai da 14 anni. La scrittura è un hobby che coltiva da poco; l’aiutava a sciogliere lo stress da lavoro, poi ci ha preso gusto.
Aveva già partecipato con un primo racconto in piena pandemia: la storia di un incontro bizzarro all’Esselunga, quando a marzo scorso era l’unica mezzora d’aria consentita a tutti.
Le chiediamo se era una storia vera e scoppia a ridere.
“L’ho un po’ romanzata, ma l’incontro c’è stato e ho seriamente pensato di accettare quel bislacco invito a cena da uno sconosciuto nel bel mezzo della pandemia…”
Le facciamo i complimenti per il suo racconto vincitore di aprile; la sua spiccata vena ironica era già presente nel primo scritto, ma in “Discesa nel caos” i tempi sono azzeccati, tutto è più fluido, ripulito, i dialoghi impeccabili.
“Ho seguito un corso di scrittura e poi uno di sceneggiatura online. Durante la pandemia ero a casa a poltrire, i corsi di cucina e infornare il pane non facevano per me, ho pensato di approfittare di quel tempo sospeso.”
Bamby è la classica milanese che smuove la vita: butta all’aria, mette a posto e poi ributta tutto all’aria. Qualcosa di buono ne esce sempre fuori.
La disciplina sul foglio gliel’ha insegnata lo studio, l’arte di sdrammatizzare l’ha appresa sul lavoro. Ma quando scrive dice che la regola numero uno è una sorta di divertimento controllato. Così l’ha ribattezzato.
“Non è come andare a comprare scarpe, lo ammetto. Ma gli effetti benefici durano più a lungo. E poi scrivere ha il grosso vantaggio che non ti fa venire le fiacche ai piedi.”.
Ammette candidamente di aver letto molto poco nei suoi primi 30 anni di vita, per lo più libri di diritto e Novella 2000. Dopo i trent’anni ha iniziato a leggere gialli, romanzi d’amore e la Kinsella. Ci chiede perfino scusa per la sua libreria di basso livello.
Da quando ha frequentato il primo corso però, ha raddrizzato la rotta.
“Sto leggendo i classici e tutti i libri che consigliavano i docenti. Alla fine sono avvocato dentro, quando voglio imparare qualcosa torno sui banchi a testa bassa, come un mulo. Sto divorando romanzi di Fitzgerald, racconti di Italo Calvino come se fosse la mia nuova manualistica. Tanto sono una single devota, ho un sacco di tempo libero.”.
Breve Storia Felice l’ha scoperto per caso, mentre “cazzeggiava” su Facebook. La prima volta si è gettata, questa volta ci ha messo una settimana per scrivere il racconto che si è aggiudicato la medaglia di bronzo.
“L’ho riletto 100 volte, togliendo le frasi di troppo, cambiando i vocaboli. Al corso dicevano che i dialoghi devono essere il più realistico possibile. Mi sono concentrata su quello.”.
E non si può dire che non abbia centrato l’obbiettivo.
Scrivere dialoghi è un’arte a sé che richiede ritmo e tempi giusti, oltre a un’inclinazione naturale. Bamby ha compiuto la cosa più difficile per un esordiente: ha coniugato l’autenticità mantenendo il gusto della narrazione. Ogni scambio tra i due protagonisti fa proseguire la storia, non è un puro pretesto stilistico; ogni riga tratteggia i personaggi e si concede anche il lusso di volare un po’ più in alto di quanto avvenga in una conversazione prettamente reale, Aaron Sorkin docet.
Ci sfiliamo il metaforico cappello al telefono.
“Non so neppure chi sia Aaron Sorkin, ma i complimenti li accetto sempre, e tutti. Quanto all’autenticità dei dialoghi sono una patita di mostre; ho immaginato di andare a una mostra di Sara Giovanazzi da sola, di fermarmi davanti al suo quadro-traccia, e il resto è venuto da sé. Riesco a scrivere solo partendo da qualcosa che mi è successo. Prendo spunto dalla mia vita e faccio ironia.”.
Il giorno in cui Bamby sublimerà nella sua scrittura il proprio senso delle cose, senza dover necessariamente parlare di ciò che ha vissuto, forse sarà il giorno giusto per appendere la toga al chiodo.

 

Intervista a Bamby
“Ti piace?”
“Moltissimo…Fa proprio venire voglia di buttare tutto all’aria.”
“Pensa che a me piace per il motivo esattamente opposto.”
“Cioè? Ti viene voglia di fare ordine?”
“No, intendevo dire che mi infonde calma… Pace…  Un po’ come riesce a fare un tramonto o una donna bella come te.”
“Oddio, non sarai uno di quegli sfigati che sperano di rimorchiare ai musei?”
“No, sono sfigato e basta. A me nei musei piace andarci a prescindere. Ci andrei anche se il visitatore medio fosse uno schnauzer, tanto per intenderci…”
“Da non credere… Sbaglio o mi hai appena paragonato ad un cane?”
“No… Io… Insomma: quello che stavo cercando di dire è che mi piace proprio l’arte in sé e che tu sei bella come un’opera d’arte.”
“Oh Dio Santo. Sei proprio uno sfigato, hai ragione.”
“Grazie.”
“Ti do dello sfigato e mi dici grazie?”
“No, ti ringraziavo perché mi hai dato ragione.”
“Io non ci posso credere… Senti vorrei gustarmi la mostra di Sara Giovanazzi in santa pace, ti dispiace?”
“Figurati. Anch’io amo immergermi in una mostra da solo, senza distrazioni, senza amici a cui rivolgere commenti sterili di circostanza…”
“Ecco, quindi se ti levi, ci immergiamo in due in un colpo solo, sai com’è.”
“Vai prima tu, se non ti dispiace… Questo quadro mi ipnotizza, credo di aver bisogno di fissarlo per un altro po’.”
“No, tu ti levi dalle palle! Tu mi hai importunato mentre cercavo di entrare in sintonia con la tela, tu devi andartene per primo!”
“Beh, a giudicare dal tuo atteggiamento, la sintonia ha raggiunto il suo picco massimo: hai detto che questo quadro ti faceva venire voglia di gettare tutto all’aria, il fare disfattista che hai avuto con me lo testimonia.”
“Giuro che se non ti levi chiamo una guardia!”
“Non sto facendo nulla di proibito.”
“Ah, ma sei impossibile! Va bene me ne vado io!”
Due ore dopo i due si ritrovarono accanto in fila per l’uscita.
“Splendida vero?”
“Oddio, ancora tu?”
“Questa Giovanazzi mi ricorda un po’ Pollock un po’ la ripetitività naturale di Damien Hirst…”
“Adoro Pollock.”
“Io preferisco Hirst. Credo abbia più tecnica. E la tecnica deve sempre vincere sul talento.”
“Come dici tu, ora devo proprio scappare…”
“Aspetta, tieni.”
“Cos’è?”
“Il magnetino del quadro davanti a cui ci siamo conosciuti. Hai visto come s’intitola?”
“No.”
“Discesa nel Caos… Forse avevi ragione tu, forse Sara Giovanazzi aveva voglia di ricominciare tutto da capo quando l’ha dipinto.”

 

MENZIONI D’ONORE APRILE

 

Le menzioni d’onore di aprile ci hanno impegnato un’altra volta. Come ha ribadito il nostro giudice d’onore, Maria Vittoria Baravelli, uno degli aspetti più belli di questo contest “artistico”, con un dipinto come traccia, è stata la diversità delle storie, del modo in cui narrarle, dei registri utilizzati: una policromia scrittoria che ben rispecchiava la policromia del quadro della nostra Sara Giovanazzi. Per menzionare solo 3 racconti tra tale e tanta tavolozza di stili e trame abbiamo dovuto chiedere aiuto al nostro giudice ancora una volta.

 

La Legge del Ritorno di Valeria Vecchiè

La redazione non ha avuto dubbi: questo racconto è l’affinità elettiva fattasi parola, fattasi morte e rinascita. Scritto impeccabilmente, un soffio di sentire catturato sul foglio. 

 

Big Bang di Noemi Mecca

Un’ipnosi su carta, una stagione di fede assoluta racchiusa in 399 parole. Un flusso di coscienza che ti porta con sé, un ricordo di futuro.

 

Gatto nero di Luisa Di Toma

Il giudice d’onore l’ha quasi messo sul podio, perché la protagonista la vorresti conoscere, perché a questo racconto vorremmo tutti credere. E quando il lettore arriva a desiderare tanto, il resto in scrittura non conta.

 

GIURIA POPOLARE di APRILE

 

Questo mese abbiamo due racconti che hanno raccolto nettamente più like di tutti gli altri. Il racconto vincitore della giuria popolare con 101 like complessivi è “Gatto Nero” di Luisa Di Toma che ha reinterpretato il dipinto traccia di Sara Giovanazzi in chiave di arcano amuleto contro il destino.

Secondo racconto più laikato: “La legge del ritorno” di Valeria Vecchiè, con 76 tra pollici alzati e cuori, l’affinità elettiva fattasi parola, fattasi morte e rinascita, il quadro di Sara Giovanazzi sublimato nell’eternità che spetta alle corrispondenze tra sensibilità gemelle.   

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La partecipazione richiede un pagamento di 10€ e la registrazione al sito, che la prima volta avverrà in fase di checkout.

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