maggio 2022

 

Podio del Contest di maggio 2022

 

 

La traccia di maggio vi chiede di fare un balzo netto nella finzione letteraria e raccontarci tra le 300 e le 750 parole “DOVE AVETE TRASCORSO UNA VOSTRA VITA PRECEDENTE”.  Può essere un dove temporale, un dove fisico, o metafisico, perché no. Il protagonista può essere un personaggio famoso, o totalmente inventato. Sarà ben accetto ogni tuffo creativo ardito. L’importante è che siate credibili pur in totale balia della vostra fantasia.

 

PODIO DI MAGGIO 2022

 

Il nostro giudice d’onore Alessandro Zaccuri, nonostante i mille impegni, non ha tentennato a scegliere i suoi tre racconti preferiti. A lui vanno i nostri ringraziamenti per la disponibilità e la voglia di aiutare Breve Storia Felice, a voi il suo chirurgico podio tecnico.

 

 

 

1° classificato: “Friends” di Marlo

 

L’omaggio a una delle serie tv più popolari si trasforma in un divertito elogio della complicità tra fratelli.

 

 

 

Intervista al nostro primo vincitore, il Breve Scrittore Felice di maggio: Marlo

A volte le nostre peggiori intenzioni ripagano quando si parla di arte.
Marlo scrive testi teatrali, ha fatto pure un corso durante il covid, ma mai e poi mai avrebbe immaginato che una sua pruderie creativa, nata da una battuta con amici, potesse finire sul gradino più alto di un podio letterario.
“Adoro scrivere, è forse la cosa che mi piace di più. Non ne ho voluto fare una professione perché avevo paura di non poterci mantenere le persone che amo, ma resta la mia passione più grande, l’attività che mi rende più felice a parte amare la mia famiglia.”.
Marlo è un assicuratore, lo faceva suo padre e ne ha ereditato lo studio. Ha conosciuto la sua anima gemella a 16 anni, durante una vacanza al mare; a 23 anni erano sposati, a 24 avevano il primo dei loro 3 figli.
Oltre che per la scrittura e per la sua famiglia stravede per le serie televisive. Lost rimane il suo big bang catodico, subito dopo c’è Friends, una serie che potrebbe praticamente recitare a memoria, puntata dopo puntata.
I suoi amici sono arrivati al punto di proibirgli di parlarne alle cene di gruppo.
“Una volta, per scherzo, ho detto che ero stato un barista al Central Perk in una mia vita precedente, e loro per farmi felice mi hanno retto il gioco per la durata di un aperitivo. Mia moglie, tornati a casa, mi aveva suggerito di scriverci qualcosa sopra. 10 anni più tardi eccola accontentata.”.
Marlo scrive di tutto: racconti brevi, monologhi da recitare sul palco, discorsi di matrimonio per gli amici che glielo chiedono, perfino curriculum di lavoro quando suo fratello lo supplica.
“Ogni volta mi perdo tra le parole e ritrovo il gusto della scrittura, soprattutto quando non mi viene imposta ma semplicemente accade, come le domeniche perfette, quando fuori piove e non hai programmi.”.
Era al lavoro quando si è imbattuto nella nostra pagina di Instagram. Ha visto la pubblicità del nostro contest di maggio e gli è tornata in mente quell’idea balzana di scrivere di un tale che viveva dentro alla sua serie televisiva preferita. Gli sembrava fallimentare in partenza, e troppo complicata da sviluppare come ispirazione, eppure qualcosa di imponderabile gli impediva di gettare la spugna o dedicarsi ad altro.
“Presente quando sai che piacerà solo a te ma lo vuoi scrivere lo stesso?”.
Eccome se lo abbiamo presente; lo ha ben presente anche Stephen King, che ha trasformato nei suoi romanzi di maggior successo proprio gli spunti accantonati per anni e che non riusciva a cancellare dall’angolo del cervello in cui li aveva relegati.
Ci svela che nella prima stesura il protagonista del racconto non era un bambino ma una sorta di alter ego di Marlo che confessava al migliore amico di sempre la sua vita precedente dentro alla serie televisiva Friends.
“Era un pasticcio. L’ho scritto e riscritto 6 o 7 volte. Poi ho gettato via tutto e ho ricominciato da capo. Ho pensato a mio figlio più piccolo e al suo mondo immaginario. Da lì è nata la versione finale del racconto vincitore.”.
E per fortuna. Il rapporto tra i fratelli è ciò che rende credibile la storia, è il trucco che la fa funzionare. Dopo il punto finale non è importante che Danny abbia detto la verità a Chuck o che Chuck gli creda, ciò che conta è il segreto indissolubile tra loro, la complicità che sbuca dal foglio e ti fa venir voglia di chiamare il tuo di fratello e raccontargli qualcosa di voi.
La stesura è fluida, mai pretenziosa, gli alti e bassi narrativi chiave; tutto rema verso la storia e le regole che vigono in essa. Riga dopo riga non è il pathos a crescere, è il sentore di un universo parallelo che prende forma lieve e si accoccola nel grembo di chi legge.
Ogni altro modo di raccontare questa storia sarebbe stato sbagliato: l’innesto del rapporto tra fratelli dentro ai rimandi ad una delle serie più amate al mondo invece dà spessore e cuore a ciò che poteva ridursi ad un semplice gioco creativo; lo stile scarno ma limpido rompe le trame della prosa e compie la magia della tridimensionalità in questo racconto in stato di grazia.
“Grazie. Non potete immaginare l’emozione. Io tifavo per Baffi, mi aveva fatto spisciare dal ridere. Oppure per Prigioniero che ha un qualcosa di sinistro che mi affascina, quel sospetto sotto pelle che i fastidi che avvertiamo nelle nostre vite presenti siano espiazioni di vite passate…”.
Concordiamo, i racconti di maggio che funzionano meglio sono proprio quelli che non sai da che lato prendere, che abitano una realtà e poi ne rivelano un’altra.
L’immaginazione, del resto, per avere un potere su di noi deve essere come una torta a più strati: non può essere una semplice crostata seppur bellissima alla vista, deve racchiudere più piani interpretativi, più atmosfere, più livelli di ingaggio.
“Friends” di Marlo è la flash-fiction al suo meglio perché ti fa sbirciare dentro ad un mondo immaginato quanto basta per guardare al mondo reale diversamente.

 

“Friends” di Marlo

Danny entrò in camera di suo fratello maggiore incuriosito dalle voci che provenivano dalla TV.
“Hei, io li conosco! Sono Joey, Chandler, Phoebe… Ah, e quello è Ross. È il più gentile di tutti.”
Suo fratello si girò esterrefatto.
“Che ne sai tu di Friends? Sei nato quando questa serie era già finita.”
Danny non ebbe il coraggio di dirglielo.
Si accomodò sul letto, ipnotizzato dall’episodio in onda.
“Qui è quando Phoebe scopre che Monica e Chandler stanno assieme…Io l’avevo capito da prima a dire il vero. Al Central Perk si erano sfiorati per sbaglio le mani e non erano più riusciti a parlare per diversi minuti.”
“Ma cosa stai dicendo?”
“Bé, a te lo posso dire fratellone…”
“Dire cosa?”
“Prima di diventare tuo fratello, ho vissuto dentro a Friends nella mia vita precedente… È per questo che li conosco tutti. Ero un barista al Central Perk e loro erano sempre lì.”
“Non dire cazzate Danny, il Central Perk non è un vero bar, è un luogo di finzione. E poi nessuno può esistere dentro a una serie televisiva. Quella non è vita vera.”
“Questo lo dici tu.”
Danny era tornato in camera sua avvilito. Non è facile vivere con un segreto così grosso che non puoi svelare a nessuno.
E poi gli mancava la sua vita di prima.
Friends era il mondo dei suoi sogni, non quello in cui era rinato adesso. Ci sarebbe tornato di corsa, benché mamma e papà fossero due persone per bene, e Chuck, suo fratello maggiore, fosse il fratello maggiore più figo che si potesse immaginare, perfino in TV.
Accese la televisione in camera sua e terminò di guardare la puntata da solo.
Gli mancavano i suoi amici della sua vita precedente. Ross, con la sua timidezza, Chandler che lasciava sempre le mance più generose. Per settimane aveva aiutato Joey ad imparare un copione a memoria dopo la chiusura del bar.
Segretamente aveva sempre avuto una cotta per Phoebe; a guardarla dentro alla sua televisione, avvertiva ancora la voglia di proteggerla, benché ci fosse una differenza di 15 anni di età a suo sfavore adesso.
“Hei, Danny, tutto ok?”
Era Chuck, pentito di aver risposto male al suo piccolo fratellino.
“Non è un male sognare ad occhi aperti. Hai ragione. Se ti fa piacere immaginare che Monica, Chandler e gli altri siano persone vere, fai pure… Solo non dirlo troppo in giro. Ok, ometto?”
“Sono persone vere Chuck. E mi mancano un sacco. Mi manca il tacchino ripieno di Monica, le battute di Joey, perfino le crisi isteriche di Rachel. Non è cattiva sai. Anzi, sa essere molto materna a volte.”
Chuck gli fece un buffetto sulla testa.
“Si può sapere quando hai visto tutta la serie?”
Danny mentì. È difficile far credere agli esseri umani che i mondi immaginari, quando sono immaginati come si deve, sono più veri del mondo tangibile. È difficile spiegare loro che esistono universi e dimensioni paralleli a quello terrestre in cui i nostri pensieri migliori, o più cupi, o più surreali, accadono come accade tutta quanta la loro vita, e che a volte, molto raramente, ma a volte, quegli universi si attraversano a vicenda.
“Ho rubato il tuo cofanetto, scusa.”
“Non fa niente, Danny.”
Gli sorrise e fece per andarsene.
“Hei, Chuck… Se guardi bene, tra pochi secondi mi intravedi dietro al bancone. Sono più grande ma ho il mio neo accanto al naso. Non puoi non riconoscerlo.”
Chuck si voltò di scatto. Poi guardò lo schermo e lo vide: suo fratello, 15 anni più grande, che spillava una birra nell’angolo destro della scena.
“Porca troia.”
“Già.”
Fu lui questa volta a sedersi sul letto e rimasero in silenzio a guardare la fine di quell’episodio.

 

 

2° classificata: “Testa o croce” di Groucho​

L’arte e l’amore come occasioni di riscatto nel sogno di una vita impossibile che invece si rivela più reale del previsto.

 

 

Intervista al Secondo Classificato del contest di maggio: Groucho

​Groucho, dopo la medaglia di bronzo del mese scorso, ci ha regalato un’altra perla: “Testa o croce”, forse uno dei suoi racconti più agrodolci e millimetrici. Sembra che si stia marinando lentamente alla scrittura, una polpa tecnica e di stile che lascerà a bocca aperta quando qualcuno aprirà alla fine il suo barattolo letterario.
Non riusciranno a capire tutti quanti gli ingredienti della sua scrittura, ma ne rimarranno stregati e vogliosi di un nuovo morso.
“Vi ringrazio per l’immagine poetica di me stesso come una gigantesca conserva speziata, ma credo che stiate esagerando. Ve l’ho detto. Non sono sufficientemente devoto per toccare alcune vette. Sono come il Marco del mio racconto, incapace di credere in un proprio presunto talento e di abbracciare il successo con irriverenza e ambizione. Troppa la paura che mi e ci cambi. E invece gli scrittori, anzi tutti gli artisti, devono essere come il Tobia di “Testa o croce”: impuniti, affascinanti, contorti, perfino sadici. A me manca perlomeno il sadismo. Almeno fuori dalla carta.”.
Adoriamo il suo fare beffardo, perché è come la sua scrittura: racchiude brillantezza di pensiero e di gesti, una misura e un’autodisciplina dietro l’apparente estemporaneità di una vita presa come viene.
Il suo racconto vincitore della medaglia d’argento è esiziale, ti secca riga dopo riga. Non c’è niente di vagamente eccessivo, o intentato, o involontario, o ridondante, eppure l’intera storia rimane in bilico tra sogni e realtà, tra i vorrei e i non posso, sia tecnici che esistenziali. Chi legge pensa a Tobia e a Marco e mentre pensa a loro pensa a se stesso e fa quello che si fa negli attimi migliori delle nostre vite: non prende decisioni, non formula sentenze, non decide un bel nulla, preferendo al reagire il ben più poetico in sospeso. Quando lo story-telling riesce a sospenderti in quella dimensione rarefatta che appartiene solo all’arte e alle emozioni artistiche ha fatto centro ed è irripetibile.
Groucho dice di non avere molto altro da aggiungere – e che no, non ha nessuna altra foto da inviarci per la copertina dell’intervista – anche se noi sospettiamo che basterebbe poco per fargli uscire di bocca molto altro.
“L’ho scritto relativamente di getto il racconto. Voglio dire, per quanto sia possibile scrivere di getto. Non so, ero particolarmente ispirato, e nervoso e docile quella sera; avevo la storia in mente e avevo voglia di raccontarla: i due rovesci di una stessa moneta tirata in ara dal destino e che ho fatto ricadere sulla carta. Non ho quasi dovuto correggere nulla. Mi capita di rado. Ho capito che il racconto era venuto bene da quando l’ho riletto la prima volta. Dapprima non mi sembrava una traccia ostica, anzi, però devo ammettere che leggendo i racconti in concorso forse ho sottovalutato le insidie, o forse era piuttosto un tema a me congeniale. Non ho amato molti degli altri racconti, devo dire la verità. Mi è piaciuto Evelyn perché adoro Marylin Monroe e gli scrittori nella finzione letteraria, che sono tutti dei mezzi falliti e codardi come me…Però era visibilmente fuori traccia…”
Ve l’avevamo detto: Groucho taglia e cuce, su carta e al nostro telefono. Da sempre, e noi ci auguriamo per sempre.

“Testa o croce” di Groucho​

​​La vita ha troppo senso dell’umorismo per gli uomini. O forse siamo noi che ci prendiamo troppo sul serio e lei si vendica.
Tobia, a soli 5 anni, sapeva disegnare come Picasso nel suo periodo cubista.
A 10 imparò a fare ritratti che lasciavano gli amici dei suoi genitori senza fiato.
A 16 si innamorò dei fiamminghi, della cupezza e dell’accanimento su alcuni isolati dettagli che accompagna ogni adolescenza.
“New Michelangelo”, si tatuò sulla schiena, due mesi prima di rompersela cadendo da una scala su cui si era arrampicato per dipingere qualcosa sul soffitto di camera sua.
Era rimasto paralizzato dalla vita in giù, vittima e miracolo di se stesso.
Dipingeva da sdraiato, grazie ad una carrucola che sospendeva tele enormi a 50 centimetri dai suoi occhi.
Se non puoi arrivare alla Cappella Sistina, fai arrivare la Cappella Sistina a te.
A soli 25 anni era già milionario, i suoi quadri esposti al Moma, alla Biennale, al Whitney Museum.
“Cosa cambieresti di te stesso?” – le aveva domandato la giornalista del Times.
“Il mio braccio destro… Michelangelo era mancino come me, ma ai suoi tempi aveva dovuto nasconderlo. Così è diventato il più grande ambidestro della storia dell’umanità. A volte la vita ci aiuta a diventare geniali…”
“La vita ha fatto lo stesso con te?”
“Nah, la vita con me si è fatta una risata, ma sai cosa diceva sempre mio nonno? Ride bene chi ride ultimo.”
Se l’era scopata per una notte intera, anzi, si era fatto cavalcare per un’intera nottata, perché “il pittore disteso”, così lo avevano ribattezzato i critici, dava il meglio di sé se stava sotto – e non sopra – ai propri sogni.
“Perché mi hai detto che vorresti essere ambidestro oggi all’intervista?”
“Perché potrei farti venire con una mano e dipingerti con l’altra.”
La vita era stata beffarda con Tobia e Tobia era beffardo con le vite degli altri. Ci entrava, prendeva ciò che gli andava e si divertiva a non aver rimorsi o ritegno.
Poi spariva, tanto restava la sua arte a fare le sue migliori veci nel mondo.
A 60 anni era diventato il pittore più ricco di sempre.
“Signor Mastri, si sarebbe mai immaginato di venir considerato migliore di Picasso, di Van Gogh, di Caravaggio?”
“Ogni giorno, da quando avevo 5 anni ad oggi. Siamo chi abbiamo il coraggio di chiedere in pegno al destino, sa?”
Quando Marco si schiantò contro il guardrail stava tornando a casa dopo la sua prima visita a Roma. Aveva accompagnato Laura, sua compagna di corso all’Accademia di Belle Arti, a rimirare la Cappella Sistina.
Lei gli aveva detto che aveva un talento immenso, che sarebbe diventato un pittore famoso e che l’avrebbe sposato solo per essere dipinta da lui. Poi era scoppiata a ridere e Marco si era convinto che in realtà le piacesse più Stefano, quel suo amico calciatore con gli addominali e i pensieri semplici.
Dopo il responso dei medici aveva rinunciato a dipingere: “Purtroppo resterà su una carrozzina a vita”.
Un giorno però si alzò di buon umore. Aveva fatto un bel sogno: era un pittore celebre e aveva il mondo ai suoi piedi.
Si sollevò e si spinse sulla seggiola a rotelle. Attraversò il corridoio e varcò la porta dello studio.
Sua madre non aveva mai perso le speranze. Aveva fatto allestire una stanza solo per lui, piena di pennelli, colori e tele disposte su cavalletti diversi.
Marco si mise a dipingere Laura, e mentre la dipingeva gli sembrò di aver già provato quell’attimo di perfezione artistica, quando i tuoi limiti svaniscono ed esisti solo dentro alla potenza dei tuoi gesti.
Guardò la tela, si commosse. Tornò in camera e prese in mano il telefono. Ricordava ancora il suo numero.
“Pronto?”
“Laura, ciao.”
“Chi parla?”
“Sono Marco, il tuo compagno all’Accademia delle Belle Arti.”
“Marco… Oddio, come stai?”
“Oggi bene. Ti ho dipinto. Mi sposi?”
Aveva riso, come faceva sempre quando era nervosa.
“Scemo… Com’è venuto?”
“Bellissimo. Come te.”
Avevano chiacchierato del più e di troppi meno, poi si erano ripromessi di vedersi.
Fu un piccolo, inatteso giorno perfetto, una tregua di cui Marco aveva tanto bisogno.
Sua madre entrò nello studio e si paralizzò davanti al ritratto di Laura.
Corse in camera.
“Marco, tesoro, non sai quanto io sia felice.”
“Di cosa mamma?”
“Che ti sia rimesso a dipingere. Sei nato per fare il pittore. Per fare mostre e diventare famoso.”
Marco sospirò.
“Forse in una vita precedente, mamma.”

 

3° classificato: “Woodstock” di Pedro

Nascita, rinascita e rock and roll: un’interpretazione inattesa del più grande raduno musicale di tutti i tempi.

 

Intervista al Terzo Classificato del contest di maggio: Pedro

​”Sai quando ti domandano in che epoca vorresti essere nato?… Io rispondo secco: 1950. Così avrei avuto 19 anni al concerto di Woodstock.”.
Pedro è giornalista, per una piccola emittente locale di cui non vuole fare il nome.
Sognava di finire alla RAI prima o poi, ma come ci dice: “Evidentemente non era nelle mie carte”.
Non aveva mai scritto fiction, sempre e solo articoli di giornale o speakerati per servizi televisivi. Però legge da sempre, tanta epopea americana.
“Mi piace che riescano a rendere epico anche un weekend a Las Vegas. Noi europei invece dividiamo la storia tra il banale, o ancora più spesso il tragico quotidiano, e gli eventi che hanno cambiato il mondo. Niente di niente in mezzo, nessuna commistione tra le due unità di misura.
A me invece piace pensare che in ogni uomo e in ogni donna ci sia almeno un momento a tu per tu con la storia con la esse maiuscola, un piccolo grande attimo in cui veniamo a contatto con i tempi e finiamo a nostra insaputa nei libri.
La vita da piccolo reporter di provincia dovrebbe farti pensare l’esatto opposto, invece dopo 20 anni di professione credo che gran parte del corso degli eventi dell’umanità sia costellato da casualità, da individui comuni dentro a grandi contesti. Guardate Zelensky. Finirà nei libri di storia per puro caso…”.
Pedro ha un modo molto sofisticato di scegliere le parole. Parla piano, ma con fermezza, un po’ come il suo racconto che ti prende per mano alla stregua di un fratello maggiore e ti porta davanti ai segreti della vita.
L’espediente letterario di rivolgersi direttamente al lettore, la scelta tecnica azzeccata che fa funzionare egregiamente la sua flash-fiction vincitrice del bronzo di maggio.
“Non c’era nella prima stesura. L’ho aggiunto in un secondo momento. Mi sembrava mancasse qualcosa al racconto per avere appeal e mi sono accorto che non era né una questione di trama né di personaggi. Mi sono detto: la tua reinterpretazione della traccia si poggia sulla matriosca delle nostre esistenze, sulle diverse vite che stanno dentro a una singola vita se abbiamo il coraggio di scoperchiare la prima, sull’essenza delle cose e non sul concetto di temporalità. Spiegalo al lettore come se fosse davanti a te. Da questa illuminazione è nata la mia scelta tecnica, un intuito semi inconsapevole come quello che giornalmente ci guida.”.
Per Pedro ognuno di noi dovrebbe vivere come se stesse scrivendo il racconto di sé stesso giorno dopo giorno, con la grande opportunità di scegliere cosa metterci dentro e come alterare gli eventi. È l’unico modo per non sprecare il dono della vita.
“Parlo parlo ma poi non ci sono mica riuscito a infilare dentro alla mia vita una collaborazione professionale alla RAI…” – aggiunge ridacchiando – “Dio solo sa quanto ci ho provato.”.
Gli chiediamo quanto ci ha impiegato a scrivere il racconto per noi e il perché l’ha inviato sul suono della sirena finale.
A Pedro sembra non dare fastidio alcuna domanda se non quelle sulla sua vera esistenza al di fuori del suo pseudonimo.
Ci ha impiegato un dopocena a scrivere il racconto e due altri dopocena a correggerlo, modificarlo, “migliorarlo”.
Il ritmo sulla carta è impeccabile, anche l’equilibrio tra trama e personaggi è pregevole, quella delicata bilancia narrativa tra fatti ed emozioni che serve al lettore per restare dentro alla finzione letteraria e crederci.
Gli facciamo i complimenti anche per i dialoghi: realistici e allo stesso tempo incastonati tra registro scrittorio e incedere degli eventi come gemme che regalano luce.
“Vi ringrazio. Scrivo spesso, e quasi sempre con una biro su un block-notes al posto che al computer, ma si tratta di testi giornalistici, di dati verificati e date e molto meno di esseri umani e retropensieri. È stata una delle cose più emozionanti scrivere di qualcuno che esisteva solo nelle le fantasie e che, come grillo parlante uscito dal mio stomaco, si è messo a ricordarmi chi sono…”.
Pedro ci ringrazia ma in realtà ha appena infilato senso in ciò che facciamo e nel perché lo facciamo.
Crediamo che scrivere fiction e allenarsi costantemente per farlo sempre meglio sia esattamente ciò che lui ci ha spiegato a voce e dentro al suo “Woodstock”: sia il segreto del vivere, del conoscersi e del ricordarsi in ogni fase della nostra vita. Provare a scrivere fiction vuol dire provare a scoperchiare le matriosche della nostra esistenza; imparare a scrivere bene consente addirittura di non assomigliare in tutto e per tutto alla prima matriosca che ci contiene dalla nascita, ma saper cambiare vestiti, espressioni e posture umane pur mantenendo la stessa forma da cui veniamo e che inevitabilmente ci conterrà per sempre.
“Non volevo inviarlo il racconto. Alla fine ho pensato che ci sarei rimasto troppo male se perfino il mio Isac non fosse riuscito a coronare il suo grande sogno al pari del suo creatore… A mezzanotte ho aperto il computer e in stato di semi inconsapevolezza mi sono iscritto. Esclamando: al diavolo.”.
Gli ricordiamo che Beethoven ha scritto l’inno alla gioia quando ormai il suo intestino lo aveva abbandonato da settimane.
Il suo Woodstock è un personale inno alla vita.

 

“Woodstock” di Pedro
​​Il 17 agosto 1969 sono venuto al mondo per la prima volta.
Oddio, ero già nato da 18 anni, ma solo biologicamente, mentre ho imparato, a furia di morire e rinascere, che noi nasciamo veramente la prima volta in cui abbiamo il coraggio di dire ciò che pensiamo davanti agli altri.
Io, il 17 agosto 1969, ho detto a mio padre che andavo a Bethel a sentire Jimi Hendrix dal vivo.
Mio padre, cari miei, era un pastore evangelico che aveva sposato la sua compagna di catechismo, tanto per rendervi l’idea; e mia madre, bè, lei era una donna che si vantava di aver fatto sesso tre sole volte in vita sua, quando aveva concepito mio fratello maggiore Jonas, quando aveva concepito mia sorella Ethel, e poi quando ha concepito me, Isac.
Volevano che facessimo i chierichetti, che suonassimo il pianoforte e che arrivassimo vergini al matrimonio.
Il più grande festival di musica rock nella storia dell’umanità era fuori discussione.
“Ci andrò che tu mi dia il permesso oppure no, papà. Ci andrò perché sogno di andare ad un concerto rock da quando ho 12 anni. Perché ho 18 anni ed è giusto che abbia dei sogni, che abbia voglia di fare esperienze, che trovi la mia strada invece di seguire la tua…”
Era rimasto senza parole. Poi mi aveva chiuso in cantina.
Avevo strappato i suoi libri di religione, le sue foto negli album di scuola. Quando e se mi avesse fatto uscire di lì, sarei stato un figlio morto nel giro di un’ora.
Chiamai Jonas, strillai per un’ora; era sicuramente in camera a studiare.
Aprì la serratura Ethel.
Ho sempre pensato fosse la più cazzuta.
“Ora ci porti anche me.”
“Dove?”
“A Woodstock scemo.”
Aveva in mano le chiavi della macchina di papà e in faccia la ribellione.
“Così ci ammazza di sicuro.”
“Tanto siamo già morti. Tanto vale toglierci una soddisfazione.”
Sfrecciavamo sul Lincoln Tunnel quando mi sono reso conto che lo stavamo facendo davvero.
Ho sempre avuto bisogno di una spinta esterna per essere me stesso. Per nascere e rinascere su questa terra. Ethel mi aiutò quella volta, anche se il merito allora fu almeno per il 90% da ascrivere alla Stratocaster di Jimi.
Arrivammo che era già buio, c’erano migliaia di persone accampate, ragazzi e ragazze in jeans e canotte che fumavano erba e danzavano sui cofani delle macchine.
Venni al mondo in quel momento esatto. La dichiarazione d’indipendenza fatta a mio padre 5 ore prima, la rottura delle acque.
“Parcheggia e avviciniamoci al palco a piedi.” – disse Ethel.
Ci incamminammo.
La persi dopo poco, un ragazzo carino le offrì una birra e lei non se lo fece ripetere due volte.
Arrivai sotto il palco che erano quasi tutti strafatti. Albeggiava. Jimi apparve come un Gesù nero e si mise a suonare.
Non ricordo molto altro di quella mia vita precedente, l’importante è nascere e rinascere le più volte possibili; non è una questione di vittorie o successi, è più una faccenda da Carpe Diem. C’aveva ragione Robin Williams. O meglio: Walt Whitman con la sua poesia sul cogliere l’attimo, cogliere la rosa quand’è il momento.
Pensiamo tutti di essere destinati a grandi cose; chiusi nelle nostre camerette ne restiamo convinti per un minuto o due, ma poi il 99 % delle volte attendiamo fino a quando è troppo tardi per realizzare anche solo un briciolo del nostro potenziale.
Ascoltatemi, ragazzi, urlate al mondo che volete andare a destra quando tutti gli altri vanno a sinistra, urlate ciò in cui credete davvero, perché solo così si rendono straordinarie le nostre vite. Solo così si nasce e si muore sul serio. In ogni altro caso siamo solo fotosintesi clorofilliana camuffata da esseri umani.

 

MENZIONI D’ONORE MAGGIO 2022

​​​​​

Questo mese vi avevamo chiesto finzione letteraria pura e tuffi pindarici dentro alla vostra immaginazione.

Dopo qualche scaramuccia redazionale, abbiamo deciso di menzionare i tre racconti rimasti fuori dal podio che più ci hanno stupito per originalità, reinterpretazione ardita della nostra traccia e registro scrittorio “parallelo”.

 

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Ofelia di Sasha Grey

Shakespeare in Love che incontra Sliding Doors. In mezzo il solito personaggio femminile tratteggiato con grazia tecnica da Sasha Grey per noi.

Torta salata di Aldus X
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​​​Era difficile scrivere un racconto di fantascienza su questa traccia, eppure Aldus X ci ha stupito di nuovo. Dove c’è vita c’è fantavita!

 

 

L’uomo perfetto di Max River

L’archetipo che diventa protagonista e complice della sua fallibile versione terrena. Il racconto più “greco” del 2022. Chapeau!

 

​​

 

 

GIURIA POPOLARE di MAGGIO 2022

 

Questo mese la giuria popolare ha visto un testa a testa fino all’ultimo pollice alzato. Onore ai racconti “Due vite” di SafeBic, “Torta salata” di Aldus X e “Baffi” di Cyrcle Bob per aver provato a lottare con le loro storie originali e ben eseguite, ma il proprio racconto tradotto in inglese se lo aggiudica “L’anima nel pozzo” di Mariangela Gandini per due soli like in più rispetto a “Fumo nelle ossa” della new entry Jessica Pellizer. L’incontro con il nostro io bambino, ormai così passato che sembra appartenere ad un’altra vita, che la spunta sul ricordo di una vita da strega.

Partecipa!

Iscriviti e partecipa!

La partecipazione richiede un pagamento di 20€ e la registrazione al sito, che la prima volta avverrà in fase di checkout.

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