luglio 2021

 

Podio del Contest di luglio 2021

 

 

Spesso un esercizio tipico dei corsi di scrittura creativa è inventare un racconto partendo dalle parole di uno scrittore o una scrittrice famosi, prendere l’incipit di un loro romanzo o libro e dargli una seconda vita. Questo luglio vi chiediamo di fare lo stesso con l’incipit apparentemente innocuo della raccolta di racconti di maggior successo di Stephen King: Le Stagioni Diverse.

Le cose più importanti sono le più difficili da dire.”

…Sono quelle di cui ci si vergogna, poiché le parole le immiseriscono, le parole rimpiccioliscono cose che finché erano nella vostra testa sembravano sconfinate, e le riducono a non più che a grandezza naturale quando vengono portate fuori. Le cose più importanti giacciono troppo vicine al punto dov’è sepolto il vostro cuore segreto. Come segnali lasciati per ritrovare un tesoro che i vostri nemici sarebbero felicissimi di portare via e potreste fare rivelazioni che vi costano per poi scoprire che la gente vi guarda strano, senza capire affatto quello che avete detto, senza capire perché vi sembrava tanto importante da piangere quasi mentre lo dicevate. Quando il segreto rimane chiuso dentro non è per mancanza di uno che lo racconti ma per mancanza di un orecchio che sappia ascoltare… To be continued.

Iniziate il vostro racconto con l’incipit in grassetto e trasformatelo nella “vostra” di storia. Ben accetto ogni genere letterario, registro o tema.

 

Tomaso Nigris

 

Il giudice d’onore di luglio sarà Tomaso Nigris, editore e autore della casa editrice indipendente INCIPIT23​, nata da un suo sogno e dalla sua ispirazione. Abbiamo scelto lui e la sua casa editrice indipendente non solo per la pruderie del nome, che richiama la nostra traccia del mese, ma perché si pone come principale obiettivo la divulgazione della parola scritta di qualità, la visibilità di storie che valgono e soprattutto di autori che ancora devono affermarsi e farsi conoscere al grande pubblico. Il mondo è cambiato, non possiamo nasconderci dietro ad un dito, e in Italia, dati alla mano, la gente purtroppo legge pochissimo, ma Incipit23, esattamente come Breve Storia Felice, crede fermamente che i libri, la parola scritta e riaccendere la voglia della lettura siano abitudini culturali da preservare per consentire alle persone di coltivare la capacità di sognare, di esprimersi più articolatamente, di emozionarsi e plasmarsi come individui in maniera molto più completa e complessa. Leggere, proprio nel turbinio della vita odierna, aiuta, molto più di una foto sui social, a dimenticare per un attimo le difficoltà della vita e ad acquisire nuovi strumenti emotivi per affrontarla.
Incipit23 pubblica narrativa di ogni genere: dal giallo al fantasy, dal libro illustrato alla raccolta di racconti. Per cui penne felici dateci dentro, per voi e per chi vi leggerà!
Tomaso Nigris, il nostro giudice d’onore di luglio, è nato a Milano, dove vive e dirige l’azienda di famiglia nel settore farmaceutico. Appassionato di scrittura e letteratura, ha pubblicato con successo una raccolta di racconti e due libri: ‘Luce’ e “Una Nuova Luce”, con cui ha vinto una menzione speciale al Festival Giallo Garda. “Per lavoro viaggio molto, l’aereo è uno dei luoghi di maggiore ispirazione. La lontananza da casa, il silenzio, le luci soffuse, trovarsi a toccare il cielo creano una speciale atmosfera, un particolare stato d’animo che mi aiuta a scrivere. Osservare luoghi e genti di tutto il mondo sono anche grande fonte d’ispirazione.”. Attende i vostri racconti tratti dall’incipit di Stephen King.

 

PODIO DI LUGLIO 2021

A voi il podio tecnico con le motivazioni meticolose di Tomaso Nigris, autore ed editore della casa editrice indipendente Incipit23 a cui giriamo i nostri grazie per un lavoro così serio e accurato.

“La scelta dei vincitori cade su quei racconti che a mio avviso più hanno saputo cogliere la sfida lanciata dal concorso: partire dalle parole con cui si apre Stagioni diverse di Stephen King e dar loro nuovo senso e nuova vita. Non si chiedeva, quindi, di “appoggiare” una frase in testa ad un racconto già confezionato, né di forzare una storia breve nell’angusta e magari persino banale limitatezza di una affermazione tutto sommato comune. Quello a cui erano invitati i partecipanti era di prendere quelle dieci parole e farne, con rispetto verso il grande maestro della letteratura fantastica e horror, l’incipit del loro racconto breve. Sono particolarmente legato a questo termine e al suo valore, tant’è che l’ho voluto per dar nome alla mia casa editrice. Ma cos’è un incipit? Anzi cos’è un buon incipit? È un avvio che contiene una promessa. È un segreto nascosto nella più semplice delle espressioni, che alla fine si rivela carica di senso e di significato. Così la frase “Le cose più importanti sono le più difficili da dire” può uscire dall’ovvietà a cui potrebbe essere relegata e si trasforma in un sasso lanciato nel fiume e nell’acqua increspata che ne trasmette l’energia.”.

 

 

1° classificato: “Parole sospese” di Virginia Coral

“Giochiamo con le parole tutti i giorni. E se fossero le parole a giocare con noi? In questo originale e riuscito racconto lettere e sillabe si animano di sentimenti e volontà, per mostrare come, al di là di noi stessi e prima delle nostre scelte coscienti, è proprio il linguaggio ad essere portatore di senso e significato. Qui l’incipit kinghiano assume il valore di un ostacolo fisico che il simpatico “amo”, in bilico sulle labbra, deve riuscire a superare.”

 

Intervista alla nostra prima vincitrice, la Breve Scrittrice Felice di luglio: Virginia Coral

Virginia Coral non ha più bisogno di presentazioni a Breve Storia Felice. Ha vinto più di chiunque altro concorrente, ci ha deliziato con i suoi ricami neri sul foglio bianco, con i suoi mondi vicini e lontani allo stesso tempo, incorruttibili, dove c’è tutto quanto manca nella realtà di oggi: la misura, il piacere del bello, la pazienza e il sacrificio.A noi, ad ogni nuovo giro di boa creativo, commuove costantemente il suo amore sconfinato per la scrittura e la sua fiducia nel potere della parola scritta, nonostante praticarla sul foglio come fa lei, riga dopo riga, sia molto più complicato ed estenuante di quanto sia scriverlo in un’intervista.Virginia Coral è una scrittrice fatta e finita, che soffre e gioisce sulla tastiera come il resto del mondo fa nella vita di ogni giorno. Ha una tale maestria antica e artigianale che leggerla è come osservare un liutaio che lima il suo strumento con la musica di uno Stradivari che le riecheggia nelle orecchie.“Parole Sospese” è il suo inno alla vita, a quel nocciolo duro sotto la polpa a cui si arriva solo se si vive succhiando il midollo delle cose, alla Henry David Thoreau. E per Virginia quel midollo sta tra le sfumature, nei dettagli, nella forza di una parola esatta in mezzo a centomila gettate al vento.

Ringrazio Tomaso Nigris, davvero.

Grazie per essere sensibile e attento a chi ama scrivere senza secondi fini.
Stasera avevo proprio bisogno di una bella notizia. Sono felice che il mio “amo” e il suo amico “ti” siano piaciuti. Sono certa che ne siano contenti anche loro, cinque minuscole lettere che unite danno vita a un significato grandioso ed eterno.
Mi sono divertita a scrivere queste pagine, volevo raccontare qualcosa di non scontato, di leggero, che parlasse delle parole e del loro ruolo nelle nostre vite. Le parole possono cambiare i percorsi dei nostri destini e dobbiamo trattarle con cura e gentilezza, proteggerle dall’ignoranza e dalla superficialità.”.

Amen.

Grazie Virginia, per come metti in fila le parole e le fai danzare per noi.

 

Parole sospese di Virginia Coral

Le cose più importanti sono le più difficili da dire. Già, infatti in questo momento sono in bilico tra la mente e le labbra, in quello scomodo limbo dove sostano i concetti in attesa di essere sdoganati. Detesto questo spazio fluido, dove fai un passo avanti e due indietro, dove ti senti irrisolto. Lei teme che le tre piccole lettere di cui sono composto non esprimano la grandezza dei sentimenti che si dibattono nel suo animo, né la passione che vibra sottopelle.
Mi sento inadeguato, delegittimato, io che per secoli ho rappresentato un dolce nettare tra due bocche ardenti, una chiave di accesso al cuore, un termine magico che suggellava promesse e addolciva ricordi. Sono stato spogliato della mia essenza, privato di un ruolo che ho sempre ricoperto con zelo.
Ti è il mio compagno. Cerca di calmare le mie ansie e di consolarmi: “Non prendertela,” – dice nel suo linguaggio asciutto – “il tempo ti darà ragione. Viviamo un periodo confuso, dove i significati mutano come i vetri colorati a ogni rotazione del caleidoscopio. Oppure vengono sfregiati da volgarità e incompetenza. E poi, bisogna riconoscere che non è mai stato facile per gli umani trovare parole capaci di accompagnare le emozioni lungo i sottili sentieri dell’anima. Qualche frustolo di significato si perde sempre per strada.”.
È gentile Ti, ma non può comprendere il mio avvilimento. Lui viene utilizzato spesso. È così piccolo che si intrufola in ogni frase e nessuno potrebbe farne a meno. Io invece rischio di essere dismesso. La notte, mentre riposo tra le pieghe del cervello, ho un incubo ricorrente: accanto a me nel vocabolario compare la specifica termine arcaico e io tento invano di nascondermi, scivolando tra amarcord e amareggiare. Un tempo non avevo rivali. Tutti sapevano come e quando usare amo, indicativo presente del verbo amare. E io rispecchiavo perfettamente quella magia che si sprigiona per qualche insondabile mistero tra un uomo e una donna. Mi bisbigliavano i re e i loro servi, i cavalieri e i poeti. Senza malizia e senza imbarazzo. Ahimè, i tempi sono cambiati. C’è troppa concorrenza. Devo competere con mi piaci, neanche parlassimo di una tazza di cioccolata. Oppure ti adoro, verbo che anni fa era riservato solo al Signore. Anche lui è desueto in questo millennio. Dio, intendo. Molte persone oggigiorno adorano borsette, locali notturni o sushi. Sono destinato a diventare un polveroso ricordo? Esiste una discarica per le parole fuori moda?
Sono fermo sulla punta della sua lingua. Non vuole decidersi a lasciarmi andare, né a ricacciarmi indietro. Mi aveva già pronunciato qualche anno fa. “Ti amo.” – aveva sussurrato, per dar voce al groviglio di sentimenti che si agitavano dentro di lei. Li aveva trattenuti per giorni, temendo che se avesse dato loro voce, il fulgore che li animava si sarebbe spento. Quella sera, però, quando se lo trovò davanti con la camicia bianca e i capelli ancora bagnati, le fu impossibile addomesticare quel tumulto di emozioni. Uscirono tutte insieme senza ordine e priorità, esplodendo in una raffica di Ti amo, ti amo, ti amo.
“Ehi, baby, frena.” – si sentì rispondere – “Stai bruciando le tappe. Tu mi piaci, hai un corpo fantastico e un visino delizioso. Non complichiamoci la vita, vuoi?”.
Fu un colpo feroce. La sua autostima ne uscì pesta. Pensò di aver rovinato tutto, di non essere riuscita a esprimere l’intensità di quella incontenibile passione. Mi confinò in un angolo remoto della mente, dimenticandomi.
Da qualche tempo però è entrato nella sua vita un uomo con un sorriso aperto e sguardi sinceri e ho ricominciato a sperare. Dalle pupille dilatate e dal leggero affanno capisco che le piace molto.
Stasera, nonostante la stellata d’autore, è ancora titubante. Teme che liberandomi nell’aria io perda grinta e spessore. Vorrei farle capire che le parole abortite per mancanza di coraggio sono occasioni sprecate e che l’onere del significato è equamente diviso tra chi parla e chi ascolta.
Mi sta montando l’ansia. Ti stropiccia nervosamente il puntino sulla i. “O adesso o mai più” – sentenzia irrequieto. “Dai, – ribatto – forse ci siamo. Lei lo sta baciando con una tenerezza insolita.”.
“Vuoi dire che mi ami?” – azzarda il ragazzo con gli occhi che brillano.
Ti prende l’iniziativa e mi trascina verso l’uscita. “È il nostro momento!” – esclama. Ma ecco che sguscia fuori un e ci supera. Questa non ci voleva. Andiamo a sbattere sulle labbra di lui, che cercano un altro bacio. Ci rialziamo malconci, ma felici. Il futuro sarà radioso.

 

 

2° classificato: “Liliana” di The Ginger Resident

Un racconto ben scritto e delicato. Traspaiono con efficacia il dolore della scelta e la paura di deludere della protagonista: Liliana sa cosa vuole e cosa non vuole, sa che non potrà evitare di ferire l’uomo che ama e probabilmente una società intera che non condividerà la sua decisione. Ma trova inevitabilmente il coraggio per essere sincera e fedele a se stessa.

 

 

Intervista alla Seconda Classificata del contest di luglio: The Ginger Resident

“Bisogna creare luoghi per fermare la nostra fretta e aspettare l’anima.”, dice Hervé Tullet, scrittore e illustratore francese.
The Ginger Resident, sul foglio, sembra volerla placare. È come se riuscisse a domare una storia attraverso il controllo tecnico, la disciplina dell’inizio e del punto finale, le briglie stilistiche con cui tiene a bada trama e pensieri prima che si imbizzarriscano e non arrivino a destinazione.
Il suo “Liliana” è un cielo carico di pioggia scrittoria, un temporale emotivo che incombe; chi legge lo sente a fior di pelle e poi dentro alla pancia, resta in bilico tra la precisione chirurgica con cui viene raccontato un sentire e i sospiri di tregua che tengono alto il ritmo, l’autenticità e il coinvolgimento.
Scrivere così richiede allenamento, abitudine alla parola scritta, inclinazione ai tempi dilatati sulla tastiera. Le domandiamo se ha fatto corsi di scrittura creativa o se scrive da tanto.
“No, in realtà scrivo cose, ma non ho mai fatto nessun corso… Da due anni tengo un blog per provare ad essere più sintetica, per destreggiarmi anche nel breve…”.
Una penna non ancora trentenne che prova a mettere paletti alla propria creatività, di questi tempi, è come trovare un quadrifoglio in un parco; e assieme al quadrifoglio scopriamo che The Ginger Resident annovera “almeno tre romanzi” salvati nella memoria del suo computer.
“I primi due sono un po’ prove generali, ma il terzo è l’unico materiale che forse potrebbe valere qualcosa.”.
Non se l’è ancora sentita di inviarlo ad un editore perché non ha ancora smesso di correggerlo; tentenna quasi mentre ci confessa della sua spasmodica ricerca di perfezione sulla carta. A noi sembra di sognare ad occhi aperti: 28 anni, tre romanzi nel cassetto e la voglia di esattezza ad ogni riga. Come diceva qualcuno: “La prima versione rivela l’arte, le revisioni rivelano l’artista”.
The Resident Ginger sta studiando per la specializzazione di medicina; prima leggeva tanto, adesso “non è più così brava”.
Eppure ha letto quasi tutti i racconti di luglio su Breve Storia Felice e si è stupita quando si è imbattuta in una penna che aveva avuto il suo stesso primo lampo d’ispirazione: PattyBoom con la storia di “Marika e Stefano”.
“All’inizio avevo avuto la stessa idea: un racconto su una coppia in cui uno dei due è alle prime armi in amore. È uno dei racconti che mi ha colpito di più perché mi ha fatto specie che due persone diverse potessero avere in testa la stessa storia… Per fortuna alla fine ho scelto una trama diversa e ho raccontato un’altra sfaccettatura delle relazioni sentimentali.”.
Ci ha messo poco più di due ore a scrivere il suo racconto vincitore, ma la gestazione in testa, là dove ogni dannata sillaba cresce a dismisura, ha richiesto più tempo.   
Quando le domandiamo dei suoi scrittori preferiti, non ha dubbi: cita Jonathan Safran Foer, l’iperbolica penna ebrea che a soli 25 anni aveva convinto la divina Joyce Carol Oates a perorare la sua causa presso ogni editore affinché il suo romanzo di esordio venisse pubblicato.
“Adoro quel suo pasticcio stilistico che poi è tutto fuorché pasticcio.”.
Foer sta alla narrativa come Miles Davis sta alla musica: è un jazzista della scrittura, un genio sregolato capace di altezze liriche sul foglio bianco e di discese misurate dentro ai canoni quando servono. Non è per tutti, è per chi ama il gesto di scrivere sia prima che dopo che durante.
“Mi immagino una linea, una linea bianca, dipinta sulla sabbia e poi sopra all’oceano, che va da me a te…”, così scrive Foer in Ogni cosa è illuminata; la nostra medaglia d’argento di luglio non lo sa ma quando abbiamo letto la sua Liliana un filo bianco invisibile ha cinto la redazione.                     

“Liliana” di The Ginger Resident

Le cose più importanti sono le più difficili da dire, perché esse si nutrono di parole, alla perenne ricerca della migliore per rappresentarle. Fagocitano ogni dannata sillaba crescendo a dismisura dentro alla tua testa; a un certo punto sono così ingombranti da sbattere contro la teca cranica: come i grandi obesi americani di quel programma spazzatura di real-time che strusciano contro le pareti dei corridoi di casa nel tentativo di spostarsi verso l’uscita. Allo stesso modo le cose importanti faticano ad uscire dalla loro dimora, ci stanno bene in fondo dentro a quella incubatrice di non detti, cullate dalla sensazione di essere intoccabili, al sicuro, forti della protezione che l’autolesionismo umano sa dare loro.
Nella testa di Liliana oramai esisteva una sola cosa importante, terrificante come un salto nel vuoto, pesante come il senso di colpa che si prova quando si spezzano le ali altrui, dolorosa come la fine che si continua a rimandare, nel tentativo destinato a fallire di modificare il finale. 
Lo fissava mentre scorreva le dita sullo schermo del tablet, lui le mostrava luminose case col giardino, disegnava un futuro radioso e affollato, che era in fondo tutto ciò che avevano desiderato. A volte, però, i desideri non si avverano oppure si materializzano nel momento sbagliato del tempo di qualcuno.
“Qua ci starebbe anche una doppia cameretta, metti che decidiamo di farne altri.”
Lui aveva trascorso gli ultimi anni a mettere ordine nel caos della stanza che avevano deciso di abitare insieme, piena zeppa della malinconia per i tempi andati, dei progetti rimasti irrealizzati, delle delusioni che si erano regalati a vicenda e che li tenevano svegli dopo ogni litigio e delle illusioni, che ancora nutrivano l’uno nei confronti dell’altra. A lui tutto ciò bastava.
Tuttavia non si rendeva conto che, facendo pulizia, stava semplicemente lucidando le sbarre della gabbia dorata che li circondava e che, mai come in quei giorni, lei sentiva troppo stretta perfino per poterla soltanto tollerare. Lei, così minuta, straripava di cose importanti da dire, di segreti che – irrispettosi – cercavano di farsi largo tra il resoconto di una giornata lavorativa e il pettegolezzo sulla cugina del cognato del fratello di. Ogni parola, ogni frase, ogni formulazione le appariva inadeguata: il mostro nella sua testa mangiava tutto e poi sputava su quel piatto di idee di cui si era nutrito, facendola sentire incapace, umiliandola.
“Pensa a quando dovremo insegnargli a camminare, o le tabelline – Dio, io non le so le tabelline. Pensa al sesso…Dio, quanto sarà difficile dirglielo.”
Lui aveva un’invidiabile capacità di domare il mostro e di mettere le parole in fila, senza fatica e senza paura. Genuino come solo chi ama davvero sa essere, così facendo affamava il grande obeso nella testa di Liliana, che, davanti a quella disarmante bellezza, che zittiva i pensieri, rimaneva immobile, incastrato – letteralmente e metaforicamente.
Quella sera, tuttavia, inaspettatamente davanti all’ennesima dimostrazione, che al mostro parve come provocazione, la sua fame divenne bulimia e, carico com’era di prove generali di discorsi impegnativi, fatti davanti alle superfici riflettenti di casa o del bagno al lavoro o dello specchietto in auto, d’improvviso vomitò tutte le verità che aveva taciuto.
I segreti di cui si era avidamente ingozzato uscirono uno in coda all’altro dalla bocca di Liliana, nulla poté lei per arginare quel fiume in piena.
“Mi infastidiscono le ditate sullo schermo, è così difficile tenerlo pulito, cazzo?”
Gli strappò dalle mani quel rettangolo surriscaldato e passò la manica del pigiama sul vetro, con scarsi risultati. “Fanculo, serve l’acqua come minimo.”
Si alzò, nel tentativo di recuperare un panno, ma raggiunta l’isola della cucina d’istinto fece cadere il tablet sul piano di lavoro, si infilò le dita fra i capelli e scoppiò a piangere. Tutte le lacrime a cui si era abbeverato il mostro le vennero restituite in quel frangente.
“Amore, ma tranquilla, va tutto bene.” Lui sapeva rattoppare ogni buco, con le sue ferite aveva fatto un lavoro sopraffino, ma certi vuoti non si possono riempire.
“Non voglio tenerlo.”
Tutta la tensione si sciolse quando l’unica vera cosa importante che doveva dirgli fu svelata. Si guardarono negli occhi alla ricerca della soluzione a quell’incompatibilità di idee che – silenziosa – si era insinuata tra loro fino ad aprire quella crepa. Lui non trovò in lei quel che sperava, per questo forse nascose il viso tra le mani, capace solo di chiedere “perché?”
Liliana restò ferma, incastrata fra la cucina e l’abbraccio che lui avrebbe meritato, doveva sentirsi leggera invece pesava come un macigno. Si sentì colare a picco.

 

3° classificato: “Il rosso e il nero” di Bastio

Questo racconto arriva terzo perché è riuscito un po’ meno degli altri a integrare l’incipit suggerito nella sua struttura narrativa. Ma ugualmente merita di essere premiato per la capacità di descrivere la debolezza e la forza degli esseri umani. Al di là del giusto e dello sbagliato, al di là del giudizio siamo tutti al tempo stesso deboli e solidi, coerenti e contraddittori, onesti e vigliacchi. E va bene così.

Intervista al Terzo Classificato del contest di giugno: Bastio

Bastio vive in Catalogna, da 2 anni. Aveva voglia di cambiare aria e con una coppia di amici si è trasferito a Barcellona dove hanno aperto un piccolo bar.
“Bastiò in catalano vuol dire caposaldo, baluardo. Quando vi ho scoperto, ho pensato che sei mai avessi partecipato a uno dei vostri concorsi avrei usato quello come soprannome, perché questo fa chi ancora scrive: tiene duro.”.
Ci leggiucchiava di tanto in tanto, quando aveva tempo e quando aveva voglia d’Italia, ma il momento giusto per partecipare ai nostri contest sembrava non arrivare mai. Poi, quando ha visto la traccia-quadro dell’aprile scorso, ha deciso che il dipinto di Sara Giovanazzi sarebbe stato perfetto nel loro baretto e che avrebbe vinto lui.
Ci ha inviato un racconto che è una delizia: di controllo, creatività, stile e montaggio. “Il quadro del Führer”, la storia di un bunker segreto in cui Adolph Hitler nascondeva i suoi dipinti coloratissimi.
“Non ho ottenuto nemmeno una menzione ma ne andavo fierissimo! Ero davvero convinto di vincere.”.
Gli confidiamo di come avesse quasi sfiorato la decina dei finalisti e di quanto il suo racconto sia rimasto nell’aria in redazione, un tepore profumato che dà forma al forno di casa, che tiene vivi i battiti.
Alcune storie non devono vincere, devono restare dentro e continuarci a parlare di tanto in tanto, quando ne abbiamo bisogno senza nemmeno saperlo.
Bastio ama leggere da sempre, ama il calcio e la narrativa, le storie d’amore e gli amici, casa sua e Barcellona.
“È come se da sempre sia attratto dagli opposti, come se non mi riuscisse mai di essere qualcuno fino in fondo. Vorrei essere Totti ma anche Sgarbi e corro da un estremo all’altro… Forse da grande prenderò una decisione.”.
Gli auguriamo che ciò non accada, che il suo io inquieto avverta sempre quella strana tensione tra due poli e che impari ad aggirarla da maestro o ad assecondarla quando meriti davvero.
Sghignazza, ma non è convinto del tutto; gli piace vivere per tentativi ma non gli va di rischiare, è la grande contraddizione dei ventenni di oggi.
“Tutti mi hanno sempre detto che scrivo bene, che ho talento, fin da quando ho 14 anni, ma con i libri ormai non si campa e io non avevo voglia di aspettare la fortuna. E poi quella quando l’aspetti non arriva mai.”.
Ha frequentato il liceo classico e poi si è iscritto a giurisprudenza, ma due anni fa ha deciso di mollare gli studi e provare a fare il ristoratore.
Gli facciamo i complimenti per la sua medaglia di bronzo, per un racconto che è stilisticamente più asciutto di quello di aprile, ma ugualmente geniale nell’ispirazione e nella stesura, e che ancora una volta narra la dualità shakespeariana dell’essere umano, la bontà e la cattiveria insita in ognuno di noi e che ci pulsano dentro contemporaneamente.
“Avete fatto un post un po’ di tempo fa che incitava ad utilizzare il racconto breve per provare nuovi stili, nuovi registri, nuove andature, e io vi ho preso alla lettera. Mi sono detto: proviamo a scrivere qualcosa di meno classico, di più serrato come va di moda adesso. Poi naturalmente ho aggiunto un titolo antico, perché mi piace il cross-over. Sono contento che abbia funzionato, anche se Il quadro del Fuhrer resta il mio racconto preferito.”.
Ne Il Rosso e Il Nero c’è qualcosa che è difficile ottenere sul foglio: c’è la voglia di urlare a Tommaso di dire la verità intrappolata dentro, c’è la voglia di chi legge di dare un contributo, di partecipare, un germe della magia che rende l’arte della scrittura unica tra le arti. Un quadro lo ammiri e ti emozioni, una scultura pure, anche una canzone ti tocca in quel modo, ma uno scritto prende davvero vita quando chi lo legge lo “completa” a modo proprio.
Ci ringrazia, per i complimenti e per ciò che “ci siamo inventati” sui social; noi lo facciamo per tutti i Bastio là fuori.

 

Il Rosso e il Nero di Bastio
“Le cose più importanti sono le più difficili da dire.”
Tommaso ripose il suo nuovo cellulare nel cassetto e corse in sala.  Per lui era il giorno più bello della sua vita, per Amos il peggiore.
Sua madre e suo padre lo stavano interrogando in salotto. Tremavano i muri e tremava il cuore di Amos.
“Dopo tutti gli aiuti che ti abbiamo dato tu ci ripaghi così?”
“O ci restituisci i soldi o chiamiamo la polizia!” – sbraitò sua madre.
Quella mattina erano spariti dalla camera matrimoniale 400 euro e l’unico che era entrato lì dentro, a parte lei e suo marito, era il cameriere cingalese.
“Non ho rubato niente, signora. Mai rubato niente.”
“Ci stai dando dei bugiardi Amos?” – tuonò ancora la madre, e Tommaso sentì il bisogno di intervenire.
“Mamma, lascialo stare. Amos non farebbe mai una cosa simile.”
“Fila in camera tua, non ti immischiare!”
Era furibonda. Non l’aveva mai vista così.
Tommaso conobbe per la prima volta la paura, non quella di farsi male o di venir bocciato, semmai quella che non ti fa dormire la notte e non ti fa pensare ad altro di giorno, la responsabilità incastonata nello stomaco di aver causato il male del prossimo.
Si buttò sul letto, si disse che poteva parlare, interrompere quell’agonia, la sua e quella di Amos.
L’aveva riaccompagnato a casa da scuola per 5 anni di elementari, lo svegliava tutte le mattine con un bacio, si accorgeva se era triste, se era agitato, copriva le sue marachelle, gli sistemava la bici quando suo padre era troppo impegnato al lavoro.
Quando si decise a parlare era troppo tardi.
Si alzò di scatto e si precipitò in cucina.
“Dov’è Amos?” – urlò con la gola gonfiata dai rimorsi.
“Lo abbiamo licenziato, Tommy. Non può lavorare da noi un ladro.”
Era il momento giusto per dire l’unica cosa che contava.
Prese fiato ma non coraggio. Si convinse che non gli avrebbero creduto.
Andò a scuola, con il suo nuovo cellulare, quello che avevano tutto i suoi compagni e che i suoi genitori si erano rifiutati di comprargli.
Pensò che col tempo si sarebbe sentito meglio.
Passarono i giorni, le settimane, i mesi, e a onor del vero la nausea della codardia svanì.
Al rientro dalle vacanze scorse Amos sul lato opposto della strada. Lo raggiunse.
“Amos, ciao!”
“Buongiorno Signorino Tommy, sta bene?”
“Tu piuttosto, come te la passi?”
“Lavoro da una nuova famiglia. Sono gentili.”
“Mi dispiace per come sei stato trattato…”
E proprio quando Tommaso si aspettava che Amos pareggiasse i conti, insultando la sua famiglia, togliendosi qualche sassolino dalle scarpe, Amos gli conficcò il rimorso ancora più in giù.
“Come stanno mamma e papà? Spero bene…”
Tommaso corse a casa. Gli aprì la porta Carmela, la nuova donna di servizio che detestava.
“Mamma è a casa?”
“Ecchenneso? Vai a vedere tu che io c’ho da fare.”
Entrò in camera da letto; sua madre stava guardando la TV.
“Li ho rubati io i soldi.”
Vomitò quelle parole per non tenersele più dentro. Per diventare grande.
“Hai capito quello che ho detto?”
“Tommy sto guardando il telegiornale non vedi?”
“Ti sto dicendo che quei 400 euro che erano spariti il maggio scorso li ho presi io di nascosto per comprarmi il Samsung…”
Non lo stava ascoltando.
Si sedettero a pranzo quando arrivò suo padre. Non gli sembrava di aver fatto il proprio dovere, ma non gli sembrava neppure di non averlo fatto.
“Cosa dicevi prima sui 400 euro amore? A cosa ti servirebbero?”
Tommaso tentennò, poi decise di vivere per sempre tra il rosso e il nero.
“Per la gita mamma. Ma forse non ci voglio più andare.”

 

MENZIONI D’ONORE LUGLIO 2021

Ci dispiace che questo luglio i racconti delle nostre penne felici abbiano avuto meno visualizzazioni del solito, anche perché alcune storie meritavano più attenzione. Ciò detto, tocca sempre a noi il compito ingrato di scegliere solo 3 racconti da menzionare ad ogni mese. A voi le nostre scelte, a tutti i concorrenti i nostri grazie.

“Armageddon” di Aldus X


Aldus X a volte ritorna e ci regala squarci di distopia. Armageddon funziona perché cosa c’è di più difficile da dire di un addio al mondo? Armageddon racconta il momento esatto in cui zittiamo il nostro sesto senso risparmiando la speranza a scapito della verità.

“Il bruco e la farfalla” di Sonia B.

 

Una metafora in 750 parole per raccontare la paura della fine, della solitudine, di essere i soli a sentire o capire in un dato modo in un mondo diviso per branchi chiusi in scatole stagne. Ben riuscito il montaggio.

“Verità artificiale” di Luna 69

 

Quante cose difficili una madre è chiamata a dire ad una figlia nel corso della vita? Un micro-racconto cyber-rom in cui il ritmo e la misura vincono su cliché e colpi di scena.  

 

GIURIA POPOLARE di LUGLIO 2021

 

Questo mese ci sono due racconti su tutti che hanno spopolato. I restanti hanno faticato ad andare in doppia cifra. Vince il premio della giuria popolare di luglio “Ti ho tradito di Mariposa con ben 33 voti, una storia di emancipazione femminile raccontata con la brutalità carnale di un parto e la linfa positiva che accompagna ogni nascita a nuova vita. Al 2° posto: “Dimentica e rinasci ad ogni tramonto di Silvia B., una storia con inatteso finale fantasy che riflette sul dolore e le posture interiori che assumiamo quando soffriamo.  

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La partecipazione richiede un pagamento di 15€ e la registrazione al sito, che la prima volta avverrà in fase di checkout.

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