marzo 2021
Podio del Contest di marzo 2021
In onore all’8 marzo e alla collaborazione con il nostro ente patrocinante, Lega Consumatori, dedichiamo il mese di marzo ai racconti che celebrano la donna in ogni modo possibile. Scrivete e inviateci un racconto in cui la protagonista è una donna. Può essere una madre, una figlia, una sorella, una moglie, un’eroina dei fumetti o della storia, può essere chiunque, ma deve essere la vostra ode alla femmina.
Lega Consumatori ha preso a cuore una storia di donne che hanno creduto in un uomo: Isa Lawrence, rifugiato politico nel nostro paese perché perseguitato nel suo, la Nigeria. Negli anni è riuscito a trovare un lavoro che gli permette di essere completamente autosufficiente grazie a delle amiche meravigliose che si occupano di sociale e che lo hanno aiutato a seguire la sua passione. Isa è uno stilista che disegna e cuce a mano le borse che fa. Ognuna ha il proprio stile ed è un pezzo unico. In ognuna Isa inserisce una preghiera affinché la sua borsa porti pace ed armonia alla persona che la indosserà.
Grazie all’aiuto di tante donne è riuscito a creare il suo piccolo brand, Le Chicche di Lau, che non ha etichetta, non ha merchandising, ma ha tante persone intorno che lo promuovono per aiutarlo ad emergere. Breve Storia Felice non poteva che accettare la proposta di Lega Consumatori di una traccia al femminile che celebri le donne in onore a quel gruppo di donne che hanno creduto, aiutato e continuano ad aiutare Isa qui in Italia. Il vincitore della giuria popolare si porterà a casa una sua borsa, noi speriamo di leggere storie di donne non perché crediamo nelle quote rosa ma nel potere dei racconti di svelare la parte migliore dei nostri inconsci. Una donna raccontata è un uomo salvato, esattamente come è successo alle amiche di Isa e ad Isa.
Il giudice d’onore di marzo è Anna Bells Campani, la scrittrice di Wattpad di maggior successo nella storia dell’editoria italiana! Il suo libro, scritto a quattro mani assieme a Raffaella Di Girolamo, “365 giorni senza di te”, edito da Sperling&Kupfer, è in cima alle classifiche di vendita in tutta Italia! Le autrici si sono incrociate su una pagina dedicata alla serie tv turca DayDreamer e la passione comune per questa storia (ambientata ad Istanbul ed incentrata sulle vicende della bella e generosa Sanem che aspira a diventare scrittrice, anche se la sua famiglia le ha imposto un matrimonio combinato) le ha spinte prima a diventare amiche e poi scrittrici. La redazione di Breve Storia Felice non poteva essere più felice di avere come giudice di questo mese, interamente dedicato alle “donne raccontate”, una donna scrittrice, che è terza nella classifica dei libri più venduti, con un libro scritto con un’altra donna per una passione comune. Quale esempio migliore di ciò che sanno fare le donne!
Anna Bells Campani non ha avuto dubbi nello scegliere il suo podio. Non vedeva l’ora di leggervi e tre racconti le sono rimasti dentro fin dalla prima lettura. A voi il podio della scrittrice nata su Wattpad che ha ottenuto più successo in Italia!
1° classificato: La grande regina di Virginia Coral
“Lo specchio che inesorabile scandisce il tempo che passa. Il riflesso di una donna forte che nasconde sotto la sua corona ben dritta lividi e cicatrici. Segni che ha sfidato faccia a faccia. Leggevo e le note della canzone di Noemi “Vuoto a perdere” si sono fatte strada nella mia testa. Sottofondo alla storia di una donna che si scopre semplicemente umana. Una donna destinata alla grandezza e al saluto da un balcone, alla fierezza di un ruolo e alla determinazione di un vissuto che affronta con vento contrario. Le lacrime sono solo un luccichio sul viso che la rendono ancora più austera. Lei donna tra gli uomini.”
Intervista al nostro primo vincitore, la Breve Scrittrice Felice di marzo: Virginia Coral
Da dicembre scorso Virginia Coral vince ogni concorso a cui partecipa. In arte si chiama stato di grazia.
Non c’è stato giudice d’onore negli ultimi 4 mesi che l’abbia letta e non sia rimasto incantato dalla sua scrittura alta, ricercata, nobile, dal suo regno letterario su cui la penna di Virginia domina alla stessa stregua della sua “Grande Regina”: con umanità, passione e predestinazione.
Su di lei abbiamo detto tutto, basta rileggere le interviste passate.
Virginia invece ci ha raccontato del perché la sua scelta di marzo sia ricaduta su tale personaggio femminile.
“Perché ho scelto Elisabetta I?
Elisabetta è uno dei miei miti. E non parlo solo del personaggio storico. La storia di questa grande donna è emozionante e ricca di vicende straordinarie, di avventure e di lutti. Quasi una telenovela.
Sembra un paradosso, ma Elisabetta I era una rivoluzionaria. Gli schemi sociali le stavano stretti, quindi infranse le regole che il suo ruolo di regina imponeva: fare un matrimonio vantaggioso e dare alla luce molti marmocchi per assicurare la solidità alla dinastia Tudor.
Sensualità e bellezza non le mancavano. Non si privava della compagnia maschile, ma solo tra le lenzuola. Il trono e il potere che esso rappresentava dovevano rimanere una sua esclusiva. Voleva essere padrona di scegliere per se stessa e per il suo paese. Una sorta di femminista ante litteram, insomma.
Fece scelte audaci, dettate da una visione lucida e pragmatica della politica, regalando un periodo di pace e benessere all’Inghilterra. Ce ne fossero di politici così oggigiorno!
Come tutti i grandi, riusciva a coniugare razionalità e fantasia, ingegno ed estro. Amava l’arte e in particolare il teatro. Forse senza di lei Shakespeare non sarebbe stato Shakespeare e i suoi capolavori sarebbero rimasti in ombra.
Insomma, una donna indipendente, coraggiosa e multitasking, che non trascurava la sua femminilità. Un po’ come tutte noi, costrette a lottare per emergere in un mondo nel quale i maschi la fanno da padrone.”.
Abbiamo chiesto a Virginia il suo parere sui racconti in gara assieme al suo. È stata un fiume in piena.
“Non mi soffermo spesso a leggere tutti i racconti, ma in questo week end l’ho fatto, rubando un po’ di tempo al lavoro e alle sue scadenze. Alcuni scritti sono originali, altri intensi, altri ancora divertenti, ma c’è un elemento che li accomuna: sono scritti bene. Ci si legge impegno e fantasia, entusiasmo e dedizione. Non è così banale. Ho cominciato il mio primo racconto, che è poi diventato un libro, dopo aver letto tre romanzi pessimi. Incespicavo in ogni frase ed ero così annoiata dal contenuto che non riuscivo a seguire la storia. Niente a che vedere con la maestria degli scrittori di Brevestoriafelice!
Se qualcuno mi chiedesse di sceglier un racconto, non saprei cosa fare. Posso solo citare quelli che mi hanno colpito di più. Tic Toc, perché è perfetto e forse perché la storia della protagonista ha qualche analogia con le mie vicende personali, La Papessa, storia fantastica che si fonda su un linguaggio così potente e crudo da farla sembrare vera, Maniche, fresco e attuale, che si legge volando, Liudmilla, che ti catapulta in un mondo rarefatto di eroi, immortalati in una vecchia pellicola, La crocerossina, che fornisce un quadro vivido e spietato degli esiti atroci della guerra, ma lo fa in punta di piedi. Ma ne ho citati solo alcuni…”.
Virginia ha ragione, il livello medio degli scritti è cresciuto dopo un anno e mezzo di concorsi, prova che scrivere non è qualcosa che si può infilare in un microonde per dimezzare il tempo di cottura. Scrivere richiede tempo, pratica, costanza e coraggio. E Virginia ne è la prova provata.
Ciò che ci resta da fare oggi è augurarle di vedere il suo libro su Enrico VIII e le sei mogli a breve in bella mostra sopra gli scaffali di tutte le librerie italiane. Harold Bloom diceva: “Leggere non basta. Bisogna leggere i libri scritti bene, altrimenti tanto vale impegnare il proprio tempo in qualcos’altro.”. Amen.
La grande regina di Virginia Coral
Lo specchio è impietoso, ogni piccola ruga mi viene ributtata in faccia come un insulto. I merletti preziosi e lo sfavillio delle gemme non fanno che esaltare le macchie e le grinze, tracce dell’insolenza del tempo. Passo la spazzola d’argento tra i capelli, ridotti a un campo di sterpaglie grigie e secche. Un tempo, quando facevo ondeggiare i riccioli rossi al sole, parevano la chioma setosa di una sirena. Cederei la corona per recuperare la freschezza dei vent’anni.
Ho sempre guardato in faccia la realtà, per quanto terribile fosse. Ho combattuto per contrastarla e modificarla se non mi garbava. Ma non riesco ad accettare la vecchiaia. La subisco come una condanna ingiusta, quasi fossi un innocente incatenato ai remi di una galea.
Neanche i reali sono immuni dal deterioramento che procede inarrestabile. Se davvero la nostra investitura fosse divina, se, come si crede, dentro di noi brillasse la luce di Dio, la malattia non ci sfiorerebbe e la morte non oserebbe carpirci. Col passare degli anni mi sono convinta che il Signore non si occupi dei destini umani e non s’immischi nelle faccende di stato. I regnanti sono più simili ai loro sudditi di quanto si pensi. E quando un figlio del popolo più scaltro di altri si accorgerà che siamo fatti di carne e sangue, e, alla fine, diventiamo ottimo cibo per i vermi, allora saranno rivolte e stragi.
Non manca molto. La consapevolezza delle masse sta montando come la panna agitata dalle fruste di una fantesca.
La noia produce pensieri inquieti. Dopo aver distrutto i miei nemici, ho risolto le dispute religiose e rimpinguato i forzieri di stato. Nessun monarca sarebbe stato in grado di fare altrettanto. Ho assolto ai doveri ed esaurito i sogni.
L’Inghilterra vive un periodo di pace ottenuta solo grazie ai miei talenti e alla mia caparbia dedizione. Essere figlia di mio padre non è stato d’aiuto. Certo, da lui ho ereditato intelligenza e autorità, ma anche un fardello di problemi irrisolti e una scia di sangue che imbratterà la memoria degli inglesi per secoli. Durante il suo regno guerre inutili hanno insanguinato l’isola, riducendo in miseria città e campagne. La fame ha falciato intere generazioni. Mio padre si trastullava con gli eserciti come faceva nell’infanzia con i soldatini d’argento. Non ha mai rinunciato a quel gioco. Le sorti della sua gente non lo interessavano. Tantomeno s’occupava dei destini della famiglia. Per generare tre figli ha dovuto sposare sei mogli. E giustiziarne due, una delle quali era mia madre. Quando lei morì avevo tre anni, tutti i suoi ritratti furono bruciati e venne cancellata ogni traccia del suo passaggio su questa terra. Volevo sapere chi fosse, che aspetto avesse, ma nessuno rispondeva alle domande, finché smisi di chiedere. Molto più tardi, spulciando le carte del processo venni a sapere che era stata accusata di adulterio e stregoneria. Falsità. La sua colpa fu di non aver sfornato un erede maschio. Morta lei, mio padre fu libero di procurarsi un altro ventre da fecondare.
“Sei caparbia e sensuale come lei!”, urlava quando osavo contrariarlo, “Dovrai tenere a bada quell’indole ribelle quando ti sposerai.”. Molti uomini si sono infilati nel mio letto. Amavo dormire stretta a un corpo caldo e muscoloso. E non mi sono mai privata di questo piacere. Il matrimonio però è un’altra storia. Avrei dovuto cedere il potere a mio marito e barattare il conforto di un abbraccio notturno o la gioia di un figlio con la gestione del paese. Avevo altro per la testa.
Nessun uomo avrebbe affidato la marina inglese a un corsaro. Io lo feci e Francis Drake distrusse la flotta spagnola. Nessun uomo si sarebbe scervellato per trovare un onorevole compromesso che mettesse fine alle dispute tra cattolici e protestanti. Io sì. La mia stessa famiglia era stata dilaniata da fedi religiose inconciliabili. Concessi libertà di culto e creai la Chiesa Anglicana. Così le lotte intestine finirono e i patiboli furono smantellati.
La testa di mia cugina, caduta nel cortile della Torre di Londra, mi pesa ancora sulla coscienza. Ci vollero diciannove anni per convincermi che l’unica scelta possibile fosse il boia. Maria era infida e troppo affascinante. Un pericolo costante per la mia corona e il mio regno. Non ho eredi, quindi lo scettro passerà a suo figlio. Lo considero un risarcimento postumo.
È la dodicesima notte del 1600, forse l’ultima della mia vita, o forse no. I teatranti metteranno in scena una commedia di Shakespeare. Io, Elisabetta I, cederei il trono per recita stasera in mezzo a loro.
2° classificato: Tic Toc di Cyrcle Bob
“La disperazione staziona in queste righe. Uno spaccato di sofferenza e realtà che quasi si può toccare, tanto diventa concreto. Andare oltre è il messaggio. L’ anima spesso si stacca dal corpo. Un tic toc di un orologio che si ha voglia di rompere, un tic toc che scandisce il dividersi di un cuore che batte solo al suo ritorno a casa. Le lancette lontane dal buio e da un odore che rimane attaccato alla pelle.”
Intervista al Secondo Classificato del contest di marzo: Cyrcle Bob
J.D. Salinger diceva che i libri belli sono quelli che quando hai finito di leggerli ti immagini che l’autore sia tuo amico e che tu possa chiamarlo nel bel mezzo della notte.
Dopo aver letto in redazione il primo racconto che Cyrcle Bob ci ha inviato, due Natali fa, a tutti è venuta voglia di conoscerlo.
Era il concorso natalizio e Bob ci aveva inviato una storia in cui Babbo Natale è uno stronzo pazzesco che odia i bambini, il suo lavoro e quei “nani ritardati con le calze a righe” che adorano vivere al Polo.
A febbraio ci ha folgorato con un racconto felliniano in cui il protagonista, ottenuta la vita eterna attraverso la criogenia e trasferitosi nello spazio, scrive una lettera struggente alla madre rimasta a Napoli.
C’è qualcosa di magnetico nel suo modo di raccontare, qualcosa di sinistro che ti tiene incollato al foglio e che crea dipendenza. Un po’ come quella fiacchetta in bocca di cui parlava Chuck Palahniuk in Fight Club che non puoi fare a meno di torturare con la lingua.
A settembre scorso si è guadagnato la seconda menzione con una memorabile Susan Sarandon che decide di suicidarsi emulando il suo personaggio più iconico in Thelma&Louise.
I suoi racconti per Breve Storia Felice sono diventati 9 e ogni mese, in redazione, ci domandiamo dove ci porterà questa volta, in quale atmosfera, come ci ammazzerà e resusciterà tra le righe. L’avevamo già messo nero su bianco per la nostra menzione, gliel’abbiamo potuto ribadire al telefono.
“Hai il potere di uccidere piano con le parole, esattamente come cantava Roberta Flack.”.
Gli è piaciuta.
Si chiama Roberto ma non ha voluto rivelarci molto altro di sé: né il suo lavoro, né dove vive, né quanti anni ha. Ci ha tenuto a spiegarci invece che “Cyrcle” l’ha preso in prestito da un collettivo di artisti californiani che fanno installazioni, sculture, murales.
“Prima o poi glielo restituirò. Per ora non si sono lamentati.”
Bob ama provocare e come tutti i provocatori nasconde un animo troppo romantico che cerca di proteggere affilando il proprio pensiero costantemente. L’allenamento ripaga sul foglio, dove il lettore ha la sensazione agrodolce di essere portato a spasso. La sua scrittura è consapevole e organica allo stesso tempo, oscilla tra il controllo e la spontaneità come i nostri migliori dubbi esistenziali. Ed è per questo che ti inchioda: perché non vuoi arrenderti al foglio e finisci per crederci di più di quanto credi alla realtà.
La sua stripper nel racconto vincitore puoi quasi vederla, vuoi offrile da bere e riaccompagnarla a casa dal figlio. È di carne, è autentica, anche se Roberto non descrive mai il suo fuori. La plasma piuttosto accarezzando il suo dentro, con la dolcezza delle “guance rosa” di suo figlio e il freddo crudele di quel palo attorno a cui è costretta a volteggiare per vivere. “Tic Toc” è un racconto sottile, delicato, ma anche crudo, che custodisce il segreto della scrittura di Cyrcle Bob: si muove dentro a chi legge con un’andatura che ti va sotto pelle, e per qualche attimo di magia lettore e storia vanno allo stesso passo.
Anche questa gli è piaciuta. Fiu.
Tic Toc di Cyrcle Bob
Dieci, nove, otto…
Rallento e i loro volti si mettono a fuoco. Le solite facce più un nuovo cliente. Gli strizzo l’occhio, per farlo cadere nella rete. Pensa di essere speciale, pensa che la vita finalmente si sia accorta di lui. Non è forse quello che vogliamo tutti?
Colpo di reni e mi rovescio sulla schiena. Stanno tutti quanti pensando alle cose che puoi fare a letto con una come me, una che gira attorno ad un palo a testa in giù e non perde mai la presa.
Io sto pensando che mi mancano solo 40 minuti alla fine del turno, a quel momento di pace in cui mi strucco davanti allo specchio dello spogliatoio e penso alle guance rosa di mio figlio.
Sento il suo profumo addosso e cancello il puzzo del mio mondo, di quel sottoscala buio e fumoso in cui mi calo ogni giorno per estrarne una pepita.
Penso che smetterò prima che abbia l’età per capire cosa fa sua madre. Tre anni, solo 3 anni, prima di esistere alla luce del sole.
La mia vita è un conto alla rovescia: quanti minuti mancano alla fine del turno, quanti minuti prima di poterlo abbracciare, prima di sentirmi di nuovo pulita, quanti secondi prima di dover cambiare posizione o sequenza attorno a quel palo crudele di ferro.
Sento tutti quanti i tic nel mio cervello, come se fossi una bomba pronta ad esplodere; contare ogni minuto aiuta ad ingrandire i propri errori e minimizzare le cose buone.
Il nuovo cliente mi sta fissando. Guarda il mio corpo a tranci e poi punta il mio sguardo. A volte mi piace quando mi fanno a pezzi, mi aiuta a non provare nulla, a sentire solo la musica e non la vergogna.
Gli sorrido e mi avvicino. Ha una banconota da 100 in mano, si merita un extra. Mi siedo sopra di lui, gli sorrido, sembra un uomo buono, uno con ancora il battito cardiaco sopra alla cintura. Non sotto. Non osa allungare le mani, chiude gli occhi. Deve aver sofferto. Come me.
Lo bacio anche se non dovrei. Io non sento niente, ma lui riapre gli occhi e mi infila la banconota nelle mutande.
Vorrei tagliargli la mano, ma resisto.
“Devo tornare sul palco adesso.”
Non se lo fa ripetere come gli altri, è uno che conta la vita, che conta gli attimi perché non crede che ritornino.
Io sto già contando quanti soldi mi avanzeranno se prima di tornare a casa mi fermo a comprare un giocattolo per mio figlio.
3° classificato: SONO QUI, NON MI SENTI? di Julietta
“Immagino la protagonista che si mangia le unghie e nel contempo fa tremare in modo convulso le sue gambe unite. Lei seduta nel vuoto di una sala d’attesa che rispecchia il colore che lei vorrebbe, quando in realtà ha dentro un turbinio di colori che si mescolano apparentemente senza logica. La immagino mentre litiga con sé stessa e con le sue contraddizioni evidenti. Penso a quanto detesti la verità che fa male. A quanto quella donna che la scruta non le abbia mai detto le parole che desiderava sentirsi dire. Poi un giorno quei colori mescolati trovano la loro collocazione e lei lascia paura, solitudine, le carte che indicano la morte e si abbandona per la prima volta alla felicità, con un sorriso e un ciao.”
Intervista alla Terza Classificata del contest di marzo: Julietta
Julietta si definisce “maniaca delle parole”. Fin da bambina.
“Mi è sempre piaciuto apprendere parole nuove, maneggiarle con cura, fantasticare con l’uso che ne avrei potuto fare sui fogli…”
Da bambina teneva un diario, poi ha iniziato ad appuntare pensieri, sogni, folgorazioni mentali che non ha mai avuto il coraggio di trasformare in qualcosa di più ambizioso.
“Non mi piace essere al centro dell’attenzione, dare un nome e un cognome a ciò che scrivo, ho passato molti anni a considerarmi strana, diversa…A pensare che questa affinità elettiva che provavo per le parole scritte fosse qualcosa che era meglio tenere per me.”.
Le cose non sono cambiate neppure dopo l’esame di maturità. Julietta, pur diplomandosi in studi scientifici, scelse il tema sul giornalismo, inventandosi dal nulla un’intervista in una piazza di Bologna in cui non era mai stata; il professore d’Italiano che presiedeva il comitato esaminante ne rimase rapito, ma ciò non fu sufficiente per credere nella forza delle sue storie, per toglierle dal cassetto e lasciare che si misurassero con il mondo fuori.
È successo lo stesso anche con il suo racconto di marzo su Thalia; Anna Bells Campani l’ha dovuto leggere una sola volta per decidere di volerlo sul podio.
“L’ha capito più di quanto potessi sperare. È andata addirittura oltre. Io sono arrivata fino ad un certo punto, lei è come se avesse portato la mia protagonista a fare un passo ulteriore. È stata una sensazione magica.”.
E la magia della scrittura è proprio questa: regalare così tanta autenticità ad un testo da fargli crescere un paio di gambe in grado di muoversi in mezzo alla gente e raggiungere posti dell’anima nuovi anche per l’autore.
“Non tutto quello che capita a Thalia è capitato a me, anzi, ma sono partita da una patologia di cui soffro anch’io. Da lì il racconto è scaturito di getto. L’ho lasciato andare dove voleva andare per poi riprenderlo in mano solo per correggerlo.”.
Julietta scrive così, per impeti visivi che deve mettere su carta prima che appassiscano, prima che perdano i colori vividi che possedevano nella sua testa sbiadendo in qualcosa che non ha più senso.
Il suo flusso di coscienza ha un sapore al tempo stesso fresco di novità e di letteratura americana beat degli anni ‘50, quando dopo un secolo di descrizioni e trame realistiche si è sentito il bisogno di tratteggiare nuovi, struggenti panorami interiori. Funziona perché si fonda sull’onestà di chi scrive, su squarci di sé in cui Julietta sta imparando a credere.
Scrivere – sostiene Murakami – è raccontare il divario tra il ciò che sarebbe potuto e il ciò che è, è fidarsi a tal punto delle potenzialità che hanno i nostri pensieri più profondi o intimi da fissarli nero su bianco in modo che chi legge provi a fidarsi a sua volta delle proprie potenzialità, dei propri non fatti e non detti.
Durante il Covid Julietta si è fidata della sua malattia per le parole. Con un locale chiuso per via della pandemia si è riscritta all’università cavalcando i sogni adolescenziali: non più giurisprudenza (“una cazzata giovanile”, scherza al telefono sulle proprie scelte del passato) ma scienza dello spettacolo che ogni giorno la obbliga a trascorre ore e ore in compagnia di letture che la stanno facendo sbocciare di nuovo.
“André Gide, Joris-Karl Huysmans, Jean-Paul Sartre, testi per molti ostici che io bevo come se fossero acqua nel deserto. Ho pure scoperto di avere la stessa nevrosi per le parole di André Gide. Nel suo romanzo Paludi, il narratore si appunta pensieri che inserirà nel romanzo e va alla ricerca di parole complicate per poi scervellarsi ad immaginare frasi e contesti in cui poterle utilizzare. Io faccio lo stesso!”.
Nella vita di Julietta sembra che le cose si stiano collocando tutte al posto giusto al momento giusto.
“Ho imparato a scrivere con meno paura. Prima temevo il momento in cui il mio dentro prendeva corpo sul foglio, perché non era mai così bello come quando si librava libero nel mondo delle mie idee, adesso dopo una corsa al parco, se ho avuto un’illuminazione, anche una sola frase, o uno spunto, mi fermo e fisso tutto su fogli volanti prima di perdere l’attimo creativo…”
Segue Anna Bells Campani su Instagram perché si è appassionata alla storia narrata nel suo romanzo di successo “365 giorni senza di te”; quando ha scoperto che sarebbe stata il giudice d’onore del nostro concorso di marzo, non ci ha pensato su troppo, ha deciso di partecipare. Primo concorso, primo podio, con una storia che parla a tutti perché ruota su orbite interiori mai scontate, profonde, inamovibili e celesti come una luna piena.
“Non vi libererete facilmente di me!” – ci ha detto dopo averci ringraziato – “La vostra iniziativa è bella perché dà spazio a chi ha voglia di scrivere senza inseguire le solite dinamiche superficiali in cui conta più il chi scrive è molto meno il cosa.”.
Non avrebbe potuto farci complimento migliore.
SONO QUI, NON MI SENTI? di Julietta
Mi chiamo Thalia, ho la spasmofilia. Significa che ho un dolore fisico costante che non mi permette di essere felice. Tutto il mio corpo trema e divento ansiosa; mi arrabbio, combatto con un mostro che nessuno conosce e nessuno rispetta e che mi sfinisce. Ho paura, paura di non riuscire più a combatterlo, paura di non riuscire ad ammetterlo: ho la spasmofilia e non sono felice! Penso troppo!
Le parole sgorgano lentamente dalle membrane del cervello nel momento in cui le pronuncio e fanno fatica a diventare suono, solo quando le penso vengono giù come un temporale. La paura di sentire quello che dico è più forte della paura di scrivere, della paura che resti impresso come una prova che miei pensieri siano vivi, reali. Riuscirò mai ad esprimerli così come vengono partoriti dalla mia mente? Penso troppo, parlo poco.
Ero in quella stanza anonima con dei quadri di autori sconosciuti attaccati distrattamente ad un muro bianco, asettico, ero lì da un tempo che credevo infinito, planavo nei miei soliti voli pindarici analizzando la mia vita, attraversando la mente contorta dai pensieri, sarei scappata pur di non esprimermi?
Quella donna mi innervosiva, troppo sicura di sé e troppo sicura di me, dei miei problemi e delle mie paure. Ma poteva saperne più di me?
Perché mi irritava? Cosa mi spaventava?
No, non sono una persona che ha paura, io! Non ho paura e non sono felice ma questo non mi fa paura. Forse l’unica cosa a farmi paura, oltre agli squali è di esprimermi.
Scelgo di stare da sola per questo motivo. Sono e voglio stare sola con i miei pensieri, mi piace.
La solitudine non mi fa paura anzi, la conosco e la rispetto, ci rispettiamo. Mi aiuta a pensare ed io le tengo compagnia. Mi aiuta a prendere decisioni ed oggi più che mai mi manca.
L’ho conosciuta anni addietro, nella città eterna, non avevo molti amici lì. Il lavoro mi rubava tempo e sogni.
La necessità di sopravvivere a volte ti uccide.
È così difficile far capire questo concetto, ci ho sempre provato quando leggevo le carte e compariva “la morte”: la gente si spaventava, sgranava gli occhi, impallidiva. Ma perché nessuno guarda mai oltre il significato di quella carta? Chi lo ha detto che sopravvivere non voglia dire morire e morte non voglia dire rinascita? Io sono sopravvissuta, ho scelto di sopravvivere e sono morta. Per questo sono qui.
Questi pensieri mi tenevano costantemente ai margini di quella sedia bianca nella sala d’attesa dello studio di una donna che niente sapeva di me ma, in realtà, sapeva leggermi dentro più di quanto io credessi.
Ogni giorno mi presentavo al suo cospetto e la guardavo, lei mi guardava e alla fine scriveva qualcosa sull’agenda dicendomi “Ci vediamo domani”. Io non le rispondevo nemmeno, le davo un’ultima occhiata, chiudevo la porta alle mie spalle e andavo via. Non riuscivo neanche a dirle “Ciao”.
Oggi però è diverso, è cambiato qualcosa dentro di me, la mia vita sta cambiando, il mio corpo cambierà.
Mi chiama. Entro. Mi siedo. Non la guardo, come al solito. Lei mi scruta, mi sorride e mi dice “Da oggi non ci vedremo più, vero?”. Annuisco e sorrido abbassando la testa per fare in modo che non veda il sorriso dei miei occhi oltre la mascherina che mi copre la bocca. È la prima volta che lo faccio, sarei curiosa di guardarla e ritrovare nel suo sguardo la saccenteria che la contraddistingue.
Oggi però questo suo complesso di superiorità non mi dà noia, anzi mi fa sorridere, forse sono gli ormoni. Mi guardo intorno per l’ultima volta con orgoglio, e con una felicità a me sconosciuta mi tocco il ventre e sorrido nuovamente, questa volta i miei occhi sono visibili e non mi nascondo più.
Aspetto di essere congedata e come al solito lei appunta qualcosa sul quaderno e lo richiude. Mi alzo e vado verso la porta, la apro e sto per chiuderla alle mie spalle, mi volto e le dico: “Ciao”.
MENZIONI D’ONORE MARZO
“La Papessa” di Alby67
Sorrentiniano, disturbante, con un alternarsi di sacro e profano che dà vita a una semantica narrativa che abbiamo ribattezzato: “Albinismo”.
“Storia di un’osservatrice” di Justalazywriter
Un racconto che è più una bacchetta magica, un invito all’incanto con cui va osservato il mondo. Adorabile il suo sapore vintage delle fiabe di una volta.
“Liudmilla” di Paco
Poco importa che la storia sia vera o romanzata. Liudmilla è la nostra eroina preferita in mezzo a tante donne della porta accanto. E raccontare un eroe in 750 parole non è da tutti.
GIURIA POPOLARE di MARZO
I due vincitori che hanno accumulato più Like sommando i Pollici in sù di FB e i Cuori di Instagram sono:
ANNA MARIA MAFFEZZOLI con “AGITU”
e
JULIETTA con “SONO QUI, NON MI SENTI?”
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La partecipazione richiede un pagamento di 10€ e la registrazione al sito, che la prima volta avverrà in fase di checkout.