febbraio 2022
Podio del Contest di febbraio 2022
La traccia di questo febbraio è:
La bugia. Ognuno di noi ha detto almeno una bugia nella propria vita, oppure ne ripete una in continuazione, a se stesso, agli altri, per difendersi, per attaccare, per nascondere una verità scomoda, per paura, per abitudine, per comodità. Ci sono bugie che fanno più male di altre, bugie per cui si pagano conseguenze salate, bugie bianche… Raccontateci la “vostra”.
Questo febbraio ci avete colpito per i posti completamente diversi in cui la traccia vi ha portato e voi avete portato noi. E, nei casi delle penne felici di vecchia data, per i cambi di registro e stile che avete abbracciato con coraggio creativo. Bravi, bravi e ancora bravi! La flash-fiction serve proprio a questo. A plasmare una propria voce su carta e poi a raggiungere “le note” che volevate raggiungere sul foglio, diventando via via sempre più consapevoli sul come fare a raggiungerle. Vi vogliamo bene.
Valentina Camerini, a cui vanno i nostri grazie per la disponibilità estrema e quella pulsante voglia di fare che non è da tutti i creativi, ha scelto il suo podio, per cui, rullo di tamburi e mano destra pronta a scrollare verso sinistra penne!
1° classificato: “Non dico bugie” di Carola Cestari
Per come ci introduce con semplicità ed efficacia a un tema doloroso.
Intervista al nostro primo vincitore, la Breve Scrittrice Felice di febbraio: Carola Cestari
La nostra medaglia d’oro di febbraio si definisce una lettrice seriale, adora il genere distopico, soprattutto quando a trattarlo è il padre della fantascienza letteraria, Isaac Asimov, e dall’altra parte predilige Alice Munro, Nobel per la letteratura nel 2103 per il suo ruolo di “maestra del racconto breve contemporaneo”. Questi sono i due poli attorno a cui ruota il suo pianeta letterario, benché Carola rivendichi la costante voglia di perlustrare tutta quanta la letteratura, senza fermarsi al proprio angolo di cultura e di visuali, soprattutto adesso che sta provando a sedersi sull’altra sponda delle parole scritte, quella della tastiera dello scrittore.
“Di Asimov mi viene da suggerire i suoi racconti gialli che sono un’autentica delizia; il modo in cui stupisce il lettore è unico e geniale. Mentre Alice Munro è la scrittrice delle donne per eccellenza, l’altro must nella mia libreria.”.
I due racconti con cui abbiamo conosciuto Carola, quello di dicembre su un indimenticabile uomo cannone che spera nel lancio perfetto per raggiungere l’amata nell’aldilà e quello vincitore della medaglia d’oro di febbraio su un narcisista perverso che mente a se stesso e agli altri per amore, sono così ben misurati, nella stesura, nel ritmo e nei finali in crescendo emotivo, che lasciano pensare ad anni e anni di scrittura; invece Carola si è avvicinata a questa passione solo nel 2018, facendone la sua nuova sfida di vita per oleare i propri ingranaggi di crescita interiore.
In 4 anni ha pubblicato un romanzo, ha partecipato a numerosi concorsi letterari, vincendone ben 60, si allena scrivendo storie brevi di una pagina e mezza per poi eliminare tutto quanto il superfluo e scolpirne la versione migliore entro i limiti della singola facciata. Recentemente ha anche pubblicato una raccolta di racconti; scrive da soli 4 anni, ma la sua penna ha accumulato un’esperienza canina che moltiplica il tempo per sette.
Loda la prolificità di Asimov e prova a prendere ad esempio un’altra dote del maestro della fantascienza: la capacità di far confluire più generi sullo stesso foglio; amante del mistero in letteratura, ci racconta dei suoi tentativi scrittori di inserire l’elemento giallo della suspense in tutti i suoi scritti.
“I lettori di oggi subiscono così tante sollecitazioni esterne che c’è bisogno di agganciarli, di tenerli sempre sul filo del rasoio…”.
A noi la svolta finale nel suo racconto vincitore, “Non dico bugie”, ha fatto sentire dentro ad un viaggio. Si parte da un punto A e ci si muove emotivamente fino ad un punto B; la scrittura non è ricercata, non crea riccioli e sbalzi e “svolazzi” – come li definisce Carola – tipici della prosa nostrana, piuttosto la definiremmo “educata” perché in pochi tratti autoistruiti evoca un’atmosfera, disegna un’andatura di sottofondo che il lettore segue prima con gli occhi e poi col fiato. E questo forse l’ha assimilato sotto pelle dopo aver divorato i suoi due idoli letterari, mai pomposi o stilisticamente virtuosi, ma terribilmente efficaci grazie a pochi calibrati gesti entro la singola riga, capaci di fermare il tempo esterno e pugnalarti al cervello nella riga successiva.
Carola ha in sé la formazione del liceo classico e la contemporaneità astuta del linguaggio letterario anglosassone, che incide per pennellate potenti sul foglio bianco e mai avvolgendoti piano con descrizioni ricche che scaldano come sciarpe ricamate di parole attorno al collo.
Il suo mix è accattivante e pulito, lascia spazio a chi legge e ti prende di spalle poco prima del punto finale, perché scrivere è scegliere ciò che deve sopravvivere alla lettura, non esiste davanti ad un foglio, resiste a quel foglio, e la nostra medaglia d’oro di febbraio sembra averlo sempre saputo dentro al proprio sistema linfatico letterario.
“Non dico bugie” di Carola Cestari
Un ultimo incontro. Te l’ho chiesto per cortesia.
Per gli anni passati assieme, ad amarci e a progettare sogni comuni. Ti ho pensata tanto ultimamente e non potevo sopportare che la nostra storia finisse così.
Ti rivedevo continuamente mentre spadellavi frittate che non venivano mai bene. Ma tu continuavi a provarci, spronata dalle mie parole. Eri bella, di una bellezza abbagliante, di cui non avevi coscienza. Ma io la percepivo, soprattutto negli occhi degli uomini. Anche in quelli delle donne, in verità, più che altro per invidia.
Mi beavo della tua luce riflessa. Ne ero fiero. Perché tu eri mia, e di nessun altro. Così anch’io ti appartenevo. E nulla più ci serviva.
Tutte quelle persone che ci stavano attorno, mi davano solo noia. Parenti, amici, conoscenti: volevano allontanarti da me. Non capivano, non comprendevano il nostro amore.
Non ti ho mai mentito, lo sai bene. Volevo che la nostra storia fosse perfetta e unica. Per me lo era. Perciò mi adiravo quando cercavi di lasciarmi, di fuggire.
Tu eri la regina della casa e io il re. Avevi abiti colorati e sexy per quando stavamo assieme. Ti facevo ballare nel soggiorno, stretta a me. Ti dedicavo ogni minuto libero. Eri il mio tutto e io volevo esserlo per te.
Perché allora volevi uscire con quelle amiche pettegole e smorfiose? Tu non eri come loro. Non ti vestivi per lascivia né per pavoneggiarti. Sei sempre stata tranquilla, come quegli abiti che ti compravo per le nostre uscite pubbliche: semplici e pudichi. Te lo ripetevo di continuo: c’eravamo noi da una parte e dall’altra il resto del mondo, che non ti doveva corrompere. Ero lì per aiutarti a far sì che non accadesse.
Talvolta mi facevi irritare e forse diventavo aggressivo, ma solo perché non sembravi comprendere ciò che era giusto fare. Non dovevi spaventarti: chi mai ti aveva amata tanto?
I tuoi familiari volevano sopprimere l’incanto che ci legava, erano invidiosi e malevoli. Ma la nostra magia non aveva paragoni, te ne sei accorta anche tu. Per questo tornavi sempre, anche quando ti sono sembrato crudele, quando sono stato violento e ti ho fatta piangere. Ma l’ho fatto per noi. Perché null’altro contava, null’altro aveva valore al di fuori di questo.
Ora ti ho chiesto di incontrarci. Ti ho promesso che sarà l’ultima volta. Mi hai risposto: “È una bugia. Non mi lascerai andare via”.
Ti sbagli: io non mento mai. Sarà l’ultima volta che mi vedrai, perché se non puoi essere mia, non sarai di nessun altro.
Mentre il metallo freddo di ciò che nascondo in tasca brucia come ghiaccio secco tra le dita, immagino di abbracciarti ancora.
Sarò sincero fino in fondo: per l’amore che provo, tra poco ti aiuterò ad andartene per sempre.
2° classificato: “Sette giorni per dirti la verità” di Samu
Perché restituisce l’ambivalenza della bugia e delinea in poche righe un commovente amore.
Intervista al Secondo Classificato del contest di febbraio: Samu
Samu in realtà è uno pseudonimo dietro a cui si cela una voce femminile calda e avvolgente.
Non le interessa che il mondo sappia che faccia abbia, le interessa che al mondo piacciano le sue storie.
Fosse per lei vivrebbe di storie e basta. Ah, giusto, e di focaccia.
Ci racconta che ne inventa – di storie – una nuova ogni giorno, anche solo per rispondere ai call-center che la chiamano al telefono per venderle un nuovo pacchetto di Vodafone o il nuovo marchingegno con cui si purifica l’acqua del rubinetto.
“Non me la sento di dire un semplice “non mi interessa” e così un giorno sono un contadino a cui non serve il wifi in casa, il giorno dopo un’anziana signora che non ha bisogno di 150 giga per navigare sul cellulare… Dall’altra parte ho sempre trovato persone che hanno voglia di ascoltare una storia diversa da quella che si aspettano; cambiano subito tono, mi stanno a sentire, entrano nel mio mondo inventato e alla fine mi ringraziano pure. E io per 5 minuti sono stata qualcun altro, ho guardato alle cose da un punto di vista diverso…”.
Samu ci ha scoperto su Facebook, ha visto la pubblicità del nostro concorso letterario interamente social e a fine giornata, quando ormai tutta la famiglia dormiva sonni sicuri, si è messa alla tastiera ad inventare una storia nuova.
“Scrivo per i miei bambini in continuazione. Loro vanno a dormire, mio marito sta guardando qualche documentario sui nazisti in salotto e io mi metto al computer per inventare loro una favola. Sono abituata a scrivere, ma è la prima volta che scrivo con in mente un pubblico più adulto…”.
Ride e ci mette di buon umore.
Immaginavamo una penna maschile e sensibile dietro alla sua struggente bugia d’amore di febbraio e invece Samu è una mamma e moglie realizzata che teme le bugie più dei topi.
“Da piccola, trascorrevo molto tempo da nonna, perché entrambi i miei genitori – divorziati – lavoravano a tempo pieno. Nessuno mi disse che si era ammalata e da un giorno all’altro nonna non ci fu più. Scomparì dalla mia vita senza che potessi dirle addio. Da allora voglio sapere la verità a tutti i costi, sempre, sono ossessionata dalla verità. Sono rimasta arrabbiata con i miei genitori per anni, fino a quando mi svelarono, molto dopo, che era stata nonna a impedire loro di dirmi la verità, perché voleva che il nostro rapporto non cambiasse di una virgola, che io non soffrissi per lei, non mi preoccupassi, che fossi spensierata fino all’ultimo pomeriggio assieme. Questo racconto è il mio omaggio a lei. E forse la mia pace fatta con le bugie. Non tutte sono cattive, ci sono bugie che non vanno giudicate, esattamente come le persone.”.
E adesso Samu ci ha fatto piangere.
Lei ci parla di libri che legge: fagocita di tutto, ogni genere, romanzi commerciali o meno, stranieri e non, preferisce leggere piuttosto che guardare serie alla tv come suo marito; legge per un’oretta e poi inventa fiabe per i suoi bambini; lei che detestava le bugie inventa personaggi e fatti mai accaduti un po’ come faceva sua nonna per aiutarla a crescere serena.
Lei ci parla ma noi pensiamo solo a sua nonna e ai fortunati dei call-center che si lasciano coccolare dalla sua voce dolce e dalla capacità di partorire emozioni da ogni piccolo attimo quotidiano, da ogni lembo di pensiero o di ricordo di cui è fatta la nostra vita.
Scrivere creativamente è questo, penne felici: è allontanarsi da se stessi, volarsi sopra fino a perdere i nostri confini e diventare solo interiorità, cinque, sei, sette sensi più o meno nascosti da regalare a personaggi lontani da noi eppure così universalmente vicini.
“Mi sono piaciuti molto Muffa di Noemi Mecca e The giornalisti di Groucho, li ho trovati i più originali, i più inaspettati, i meno perdonabili ma allo stesso tempo i due personaggi che avrei voluto invitare a cena, convertire al vero, magari assaggiando qualcosa di disgustoso preparato dal protagonista di Muffa, e facendomi invece stampare quell’articolo meraviglioso del Times dal protagonista di The Giornalisti per poi leggerlo davanti ad un bicchiere di vino rosso.”.
Ci sono persone là fuori che sono nate esattamente per raccontarci storie, e Samu è una di loro.
“Sette giorni per dirti la verità” di Samu
Irma è la mia anima gemella. L’ho incontrata dopo un matrimonio affrettato e una storia mai uscita dai blocchi di partenza che mi ha fatto sprecare 10 anni della mia vita.
Ero solito aggiungere “i migliori” alla fine di questa frase, ma direi una bugia. I miei anni migliori sono i 5 trascorsi con Irma, senza ombra di dubbio, e l’ho capito il giorno in cui mi hanno comunicato che me ne mancavano solo altri 365 da vivere.
Ho un tumore. Al fegato. Stadio avanzato.
C’era la possibilità di sottoporsi a delle cure sperimentali, ma avrei dovuto dire la verità a Irma e non voglio.
Già. Ho deciso di mentire.
Mi ero ripromesso di essere sincero con la mia donna, avevo pronunciato centinaia di bugie prima di conoscere Irma, mentre lei mi aveva guarito con la sua capacità di non giudicare.
A quel punto non c’era più gusto. E neppure il bisogno.
Siamo stati felici assieme, anzi, direi, piuttosto, rapiti, l’uno dall’altra, completati, a vicenda.
Ogni giorno con lei vale almeno il triplo, dal momento in cui apre gli occhi e dice qualcosa di buffo al momento in cui si gira nel letto e mi confida i suoi segreti.
Al buio, dice, “perché la luce non è fatta per avvicinarsi, ma per prendere bene le misure”.
La amo, era la donna per me, e mi fa effetto pensare che tra poco, quando non ci sarò più, lei diventerà la donna di un altro.
So che accadrà, è troppo generosa per chiudersi in se stessa, e troppo coraggiosa per tirarsi indietro.
Tra poche ore partirò per la Svizzera, dove mi attende una lussuosa clinica in cui praticano l’eutanasia.
Ti danno una settimana di tempo per ripensarci, poi ti presentano la fattura da liquidare prima dell’iniezione.
È vero, sulla carta avrei ancora altri tre mesi assieme a Irma, ma scoprirebbe il mio inganno, proverebbe ogni singola fitta sul suo corpo e farebbe altrettanta fatica a mascherarla davanti a me.
Non voglio questo per lei, e non lo voglio per noi.
Voglio un lieto fine soffice, come il nostro primo incontro.
Io e Irma ci siamo innamorati perché abbiamo pensato entrambi che sarebbe durata poco tra noi. Nel breve diamo il nostro meglio, nei pranzi rubati al lavoro, nei weekend improvvisati, in quei 5 minuti di sosta, lungo la strada, in cui, senza averlo programmato, ci guardiamo e ci confessiamo l’eterno dentro a una battuta.
Non voglio code sfilacciate per il nostro amore; basterà una virgoletta chiusa, un discorso sospeso per continuare a parlarci anche quando non esisteremo più assieme.
Se le raccontassi la verità, la nostra intera storia sarebbe in pericolo, diventerebbe altro da tutto ciò che siamo stati, e io non lo permetterò.
“Buona notte Diego.”
“Notte Irma.”
“Sai cosa vorrei fare adesso?”
“Una pastasciutta di mezzanotte?”
L’ho fatta ridere. Mi sa che ho indovinato. Si alza, senza far rumore, e a piedi scalzi corre davanti ai fornelli.
“Divina.”
“Se parti tra due giorni, te la cucino anche domani notte…”
“Non posso Irma.”
“Mi prometti di chiamarmi a mezzanotte però? Così almeno te la racconto.”
“Ti chiamerò ogni notte per i prossimi 7 giorni. È una promessa.”
Ha il sugo tra i denti e l’espressione sognante. È la sua morbidezza vitale che mi mancherà più di tutto.
“Ah, Diego, se non rispondo, non richiamare. Ti richiamo io appena posso.”
3° classificato: “Fotografia” di Paolasenzalai
Perché ci fa immedesimare in una situazione strana e leggermente disturbante.
Intervista alla Terza Classificata del contest di febbraio: Paolasenzalai
Quando scriviamo, c’è bisogno che ogni parte di noi ci creda, che non sia un’esercitazione, né di stile né di tecnica. C’è bisogno, vi direbbe Hemingway, “di lasciar montare la pressione dentro a una storia”, fino a quando è gonfia a sufficienza da rotolare sul foglio bianco e tracciare un nostro senso compiuto lì sopra.
Paola nella sua gestazione scrittoria ascolta una musica precisa, quella che le sembra più giusta per nutrire l’ispirazione del momento e farla germogliare, per immergersi in un mondo scritto in cui tutto respiri, profumi, palpiti e si accovacci dentro alla storia che sta raccontando.
“È il mio tratto distintivo, lo faccio sempre, scrivo ascoltando una data canzone, dalla prima riga di un racconto fino al punto finale. La ascolto ininterrottamente durante tutto il processo creativo.”.
E, ogni volta che invia un racconto ad un concorso, suggerisce quella canzone come colonna sonora del proprio scritto. Per “Fotografia” il suo suggerimento musicale era “Honey Bee” dei Madrugada, un pezzo nordico che canta un amore vissuto dentro ad un bosco, celebrato e attizzato come fuoco che riscalda quando fuori è buio e freddo e manca ancora troppo ad una nuova alba. La voce profonda del cantante ti accarezza la pelle nello stesso modo in cui le parole di Paola sfiorano le braccia di chi legge, rievocando il pudore dell’adolescenza in quel punto preciso, su quella che era la pellicola della nostra percezione quando eravamo giovani e sapevamo sentire ogni cosa, dalla rabbia alla vergogna, prima con la pancia che con la testa.
Il racconto vincitore di Paola funziona perché crea una bolla in cui per un minuto di incantesimo riusciamo ad avvertire gli scatti della Reflex sulla nostra pelle nuda, e quando il punto finale arriva è troppo presto anche per noi e non solo per Barbara. Anzi: noi, come Barbara, sentiamo che ne è valsa la pena.
La magia avviene grazie allo stile diretto, quasi scarno a volte, come solo la vita sa essere e sa regalare. Paola non cede mai alla tentazione di girare attorno ad un’immagine, di rubare tempo e attenzione alla sua storia, la lascia cadere perpendicolarmente sul foglio, con la stessa pulizia e forza della pioggia dritta.
E sa esattamente dove fermarsi nel raccontarci l’eros dei suoi due giovani protagonisti, uno yoga scrittorio che richiede equilibrio tra i propri istinti creativi e il respiro controllato della tecnica.
Non ci sorprende quando ci parla dei suoi scrittori preferiti: il primo è Bukowski, il secondo è Hemingway e il terzo, con cui è in atto un corteggiamento “a distanza”, è il gigante Borges.
“Bukowski lo leggo e lo capisco, Borges finisco di leggerlo e non sono certa di aver afferrato il senso di ciò che scrive… Voleva dire veramente questo, oppure no? Credo che sia un mostro di bravura ma vada preso a piccole dosi. Hemingway invece…io e lui sono certa che saremmo andati d’accordo se ci fossimo conosciuti.”.
Ne siamo certi anche noi; di Paola ciò che ti conquista è il rispetto per la scrittura, per le sue regole, ma allo stesso tempo il riconoscerne la dimensione umana, il volerla fare propria, il ricondurre la scrittura a sé, al proprio senso delle cose che deve echeggiare lieve tra le sue righe con la stessa naturalezza con cui i fatti che per noi contano e hanno contato ci formano come individui. E questo è estremamente Hemingwayano: scrivere al nostro meglio ma dritto per dritto, una frase autentica dopo l’altra, senza preoccuparsi di sembrare uno scrittore mentre si sta scrivendo ma solo delle nostre scelte creative, di ciò che vogliamo che resti sul foglio e di ciò che va sacrificato.
“La scrittura per me è l’unica salvezza. Ho un lavoro molto diverso da ciò di cui stiamo parlando qui adesso al telefono e scrivo da sempre per fare accadere anche quest’altra parte di me.”.
Paola ci ha messo pochissimo – un’ora su per giù – a scrivere il racconto vincitore; è allenatissima nel cavalcare la micro-narrativa, ha un cassetto pieno di racconti brevi, partecipava addirittura a dei contest in cui in perfetto stile americano eri tenuto a scrivere delle flash-fiction entro 12 ore di tempo (www.writersdream.org, purtroppo non più esistente).
Paola sa come innescarsi, come arrivare al punto finale tenendo in mano il senso di compiuto da infilare sotto pelle e sul foglio; sa uscire da una storia quando la storia ha sussurrato tutto ciò che più le premeva.
“…Credo anche che la dimensione del racconto sia quella giusta per i tempi che stiamo vivendo, dove siamo tutti di corsa e il piacere della lettura va centellinato in mezzo ai mille impegni.”.
C’è un netto spartiacque tra il fascino della scrittura, che molti confondono con passione, e l’urgenza dello scrivere, la devozione verso la parola scritta affinché accada fisicamente come tutto quanto il resto e quel resto ce lo cambi.
Paolasenzalai ce la immaginiamo in equilibrio precario su quello spartiacque, con un bicchiere di vino in mano e la voglia hemingwayana di riempire “il proprio pozzo di vita” nell’altra.
“Fotografia” di Paolasenzalai
Avevamo deciso di fare una scampagnata in montagna, griglie, chitarre, vino… e poi c’eri tu, bellissimo e irreprensibile, dicevano. Mi piacevi da morire, piacevi a tutte noi a dire il vero, peccato avessi scelto lei: Stefania, di qualche anno più grande; eravamo amiche fin da bambine noi due.
Quando iniziarono il “torneo” di calcetto a squadre miste, io mi incamminai lungo il sentiero, non mi aspettavo tu mi seguissi. Avevi al collo la tua Reflex nera come tante altre volte.
«Non ti stai divertendo, Barbara?»
«Sì, ma preferisco camminare», risposi.
«Vengo con te, qui c’è una bella luce, posso scattarti qualche fotografia?»
Sentivamo voci allegre in lontananza.
Arrivati alla casera abbandonata mi accorsi che mi guardavi come non avevi fatto mai, sapevo ch’era quello il momento giusto per tornare indietro, ma non lo feci, anzi, tolsi le scarpe, poi i jeans, la maglietta, le mutandine… mi stesi sull’erba, mi girai su un fianco e ti voltai le spalle.
Entrasti nella baita, sentii il rumore della porta sbattere e mi fotografasti da là.
Click, click, click.
Era eccitante.
Mi dicevi tu come muovermi, dove guardare, le ombre, la luce, parlavi, ridevi. Ti avvicinasti un po’ per togliermi un filo d’erba dai capelli, mi sfiorasti il seno, io sorrisi.
«Barbara, sta per piovere, dovremmo tornare dagli altri».
«Vai tu, io resto qui», dissi.
Allora ti stendesti vicino a me e sentimmo la prima pioggia cadere su di noi e poi…
Poi rimanemmo a lungo abbracciati, lasciando che l’acqua lavasse via la colpa; ma quando ci alzammo eravamo sporchi.
Raccontammo di essere scivolati, di aver cercato riparo alla casera, nessuno fece caso a noi, soltanto Stefania chiese dubbiosa se ci fosse stato qualcosa…
«No», risposi.
«Giura!»
Giurai.
Anni dopo pubblicasti un libro di fotografie e a pagina 44 c’era il mio ritratto. Ne ho fatto un quadro per ricordare a me stessa che c’è sempre un attimo, nella vita, in cui possiamo scegliere se sbagliare o no.
Confesso che a volte, però, dopo aver guardato a lungo quella fotografia, chiudo gli occhi; la realtà finisce e là cominci tu.
MENZIONI D’ONORE FEBBRAIO
Occhiali a specchio di Antonella E.G.
Il racconto più attuale, la trama più elementare, lo stile a scatti che imita la nostra comunicazione quotidiana dentro ai cellulari. Semplicemente funziona.
Forse non sai che di Mariangela Gandini
Un flusso di coscienza che ambisce a fregarsene degli altri e invece diventa flusso di coscienza collettivo. Un racconto già letto, scritto con ambizione. Cin cin.
Kamal di Paco
La storia che più è piaciuta alla redazione, quella di Kamal, un uomo che trasforma la bugia, la sua abilità nel mentire in qualità umana; l’angolazione più interessante da cui sbirciare dentro alle bugie.
GIURIA POPOLARE di FEBBRAIO
Questo mese abbiamo un racconto vincitore incontrastato con più di 100 like e un secondo classificato nella giuria popolare con più di 50 like. Sabrina Muccini ha provato ad impensierirli entrambi con il suo “Primo piano di una bugia”, ma la sua bugia tra donne non è riuscita a scalzare né “Muffa” di Noemi Mecca, un racconto scientific-pulp che disturba quanto avvolge, né tanto meno la Valentina di Stefano Paiuzza in “Almeno per un giorno”, travolta e poi fagocitata da una bugia cresciuta fino a prendere il suo posto nel mondo ma non il suo orgoglio.
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