marzo 2022

 

Podio del Contest di marzo 2022

 

 

La traccia di questo mese nasce da una passione in comune tra il giudice d’onore di marzo e la redazione di BSF. Parliamo di “Franny e Zooey”, uno dei libri forse meno celebrati di J.D. Salinger, ma che proprio al giorno d’oggi chiunque dovrebbe leggere e rileggere qualora fosse interessato a capire cosa voglia dire davvero scrivere e di conseguenza essere uno scrittore…

Significa danzare con i pensieri, con le parole, con i propri credi e le proprie idiosincrasie su un foglio e trasformare il tutto in letteratura pura. Significa creare un mondo nuovo su carta, dal linguaggio all’atmosfera, a chi lo abita, e renderlo così credibile da farti sentire la sua mancanza una volta giunti al punto finale.

Questo “libretto striminzito”, come lo aveva definito Salinger stesso inviandolo al suo editor, è un trattato di scrittura creativa su quell’esoterismo particolare che sono i rapporti famigliari tra fratelli e sorelle, un tuffo creativo eccentrico che ti restituisce, fingendo di non volerlo fare, l’unicità di un rapporto così complesso, sfuggente e allo stesso tempo inamovibile, arduo e lieve, intimo ed esposto come quello fraterno.

Scriveteci il vostro racconto su “fratelli e sorelle”.

Non è necessario che ci siano entrambi nella trama, basta che le vostre righe ci restituiscano almeno un fratello o una sorella. E naturalmente non deve essere necessariamente autobiografico; anche i figli unici, almeno una volta nella propria vita, hanno sognato di avere un fratello o una sorella, o molti di più…

 

PODIO DI MARZO 2022

La traccia di questo marzo era insidiosa da un punto di vista tecnico: era necessario descrivere un rapporto dentro a una storia, il protagonista assoluto doveva essere il legame tra fratelli e sorelle, quel tutto dentro ai piccoli gesti, l’addomesticamento di un sentimento di sangue.

Il nostro giudice d’onore, la scrittrice Francesca Zupin, vi ha letto e vi ha lasciato sul suo comodino per rileggervi ancora prima di scegliere il proprio podio.

“Innanzi tutto un ringraziamento per questi bei racconti, da cui traspare tanta voglia di mettersi alla prova e anche di provare a percorrere strade poco battute. Il mio podio, oltre ad essere dettato dal gusto personale (che sempre impatta, premettiamolo!), ha voluto premiare l’efficacia della scrittura, lo sguardo particolare e la scelta di non cercare il “tragico” a tutti i costi (che spesso risolve facilmente un racconto breve), o comunque di mettere in evidenza, anche nelle situazioni drammatiche, aspetti inconsueti, addirittura ironici.”

Indipendentemente da vincitori o meno, complimenti a tutti da Francesca Zupin!

A voi il suo podio:

 

 

1° classificato: “Le sorelle Dumbo” di Alfredo C.

Un racconto vivo e colorato quanto i suoi personaggi, una voce narrante credibile. Dialoghi realistici eppure spiazzanti. Vero umorismo pirandelliano, che sa far sorridere e nello stesso tempo rivelare una tristezza nascosta.

 

 

Intervista al nostro primo vincitore, il Breve Scrittore Felice di marzo: Alfredo C.

Alfredo era stato una cometa a Breve Storia Felice; ci aveva inviato 3 racconti tra giugno e settembre dell’anno scorso e poi era sparito.
Lui era sparito ma non le sue storie: un amore eterno come ottava meraviglia del mondo, un obeso che si nasconde dietro un alias del telefonino e un irascibile Van Gogh che si reincarna in un mercante d’arte albergando in sé i gesti più o meno artistici di una vita precedente.
Tutti racconti eleganti, sofisticati, sia nella tecnica che nello stile, a tratti arcani, a tratti lirici.
È tornato questo marzo con un racconto dal registro del tutto nuovo: la tecnica e l’eleganza sono ancora presenti, ma l’atteggiamento sul foglio è più familiare, c’è meno contegno letterario e più rossore scrittorio. I dialoghi, assenti nei primi tre racconti, in questo sono chiave: realistici, ritmati, scardinano la trama e innescano il legame empatico con chi legge.
“Sono contento che mi diciate così! Non scrivevo dialoghi perché ero totalmente incapace. E dire che dialogare è alla base del mio lavoro. Mi sono messo a studiarli, a leggere sceneggiature, la mia ossessione più recente. A qualcosa è servito.”
Alfredo è psicologo, e anche lettore invasato, come lui stesso si definisce.
“Ho attraversato tutte le fasi; quella della lettura scolastica, dei testi didattici, poi la lettura estiva dei grandi classici, i russi, i francesi, Pirandello, Calvino, Svevo, D’Annunzio, poi la saggistica perché vorrei sapere tutto, risolvere i miei dubbi esistenziali come se fossero cruciverba di cui conosco la soluzione a memoria… E adesso, dopo un sacco di romanzi contemporanei che non sono riuscito a terminare, sono arrivate le sceneggiature. Quando vedo un film che mi piace, recupero la sceneggiatura e me la leggo. Non so perché, ma negli ultimi due anni mi è sembrata l’attività più sociale che abbia fatto.”
Gli chiediamo da dove sia nata l’idea delle Sorelle Dumbo.
“A dirvi la verità, sono finito ad una cena in cui l’ospite aveva in salotto un dipinto di un certo Lowell Herrero. Ero lì che fissavo queste tre donne grasse, allegre e spensierate su delle bici, e mi è venuta l’ispirazione. Le mie sorelle sarebbero state grasse e felici, o per lo meno, grasse in nome di una causa…”
La sorellanza nel racconto vincitore di marzo è simile ad una brigada del cuore, non riguarda la sintonia o l’affetto tout court, ha a che fare con una comunanza di vita, una condivisone di passato che è più forte delle individualità, o semplicemente sa andarvi oltre.
Alfredo ha provato a scrivere con un tono meno rarefatto e nebuloso di alcuna letteratura o posa letteraria.
“Volevo trasportare il lettore dentro all’aria umida della famiglia. Quella serra in cui la specie umana cresce, assume le sue unicità, i suoi odori, i suoi colori. Beatrice, la voce narrante, doveva essere il contro altare a tutto quel vapore acquo in cui proliferano i rapporti famigliari, doveva incarnare l’asciuttezza della vita di un figlio unico. Io ne so qualcosa.”
Il dolore di sottofondo invece, appena tratteggiato, non centrale ma onnipresente, mette a fuoco i personaggi e il legame che li unisce.
La nostra medaglia d’oro non è costante nello scrivere, vive la scrittura come un’eruzione cutanea.
“È quasi un prurito momentaneo che mi vien voglia di grattare, ma non ho ambizioni letterarie. Mi piace che resti tutto su carta e resti tutto racchiuso in quell’attimo creativo, figlio della mia mente e mai della mia esperienza. Lo trovo liberatorio dopo 8 ore faccia a faccia con la realtà.”
I racconti che ha preferito sono “L’esercitazione” di GiulyRed, perché gli ha fatto venir voglia di essere uno dei due fratelli, non importa quale, e “Gemelle Diverse” di Sara M.
“Forse perché la protagonista è una psicologa come me e come me è piena di nodi irrisolti. Chi ha capito tutto è sua sorella gemella, anche se per il resto del mondo è lei l’incompiuta delle due.”.
Alfredo dice le cose a modo suo e fino a febbraio scorso le scriveva in modo privato. Questo marzo è riuscito a scriverle per tutti.

 

“Le sorelle Dumbo” di Alfredo C.

Le chiamavano le sorelle Dumbo. Erano grasse e felici. Si presentavano all’intervallo con grosse stagnole nelle mani e le scartavano sedute sulla panchina più lontana come se fosse un tesoro.
Ogni giorno le spiavamo ridere, abbuffarsi, chiacchierare senza sosta non curandosi dei nostri sguardi.
Io le invidiavo, ero figlia unica e stavo perennemente a dieta per far colpo sui maschi. Loro si bastavano.
Gioacchina era in prima liceo, Serafina in seconda e Marcella in quarta. Ogni giorno arrivavano a scuola assieme, ogni giorno imboccavano Vicolo Alberti a braccetto e sparivano dalla nostra vita.
Iniziava in quel momento invece la nostra schiavitù, il bisogno di prenderle in giro, di vivisezionare ogni loro abitudine, il modo in cui camminavano, vestivano, sudavano quando arrivavano i primi caldi, le loro stagnole rigonfie di lasagne, panini farciti, mozzarella fritta.
La prof di chimica, un martedì, mi mise in coppia con Gioacchina per un progetto dei suoi: “La conservazione della massa”. Mi immaginavo già le battute degli altri, gli sfottò echeggiare nei corridoi.
“Vuoi venire a studiare da noi?” – mi chiese Gioacchina – “Mia sorella l’ha già fatto questo progetto, ci metteremo un terzo del tempo.”
Pensai che prima me lo toglievo di torno il progetto, meglio era. 
“Va bene.”
Ci aspettavano in fondo al Vicolo, con quei ridicoli abitini a righe che le ingrossavano ancora di più.
“Perché vi vestite sempre uguali?”
“Perché fa felice nostra madre…”
“…E perché tanto stiamo di merda con tutto.” – aggiunse Marcella.
Risero in coro, tenendosi la pancia e rovesciando il collo indietro.
“…Quindi vi hanno affibbiato la legge di Lavoisier…” – continuò Marcella – “Ho ancora le provette e il bilancino. Ci servono solo il nitrato d’argento e l’acido cloridrico, ma sono certa che nella nostra casa degli orrori mangiamo anche quelli. Mamma li avrà nella credenza.”
Non risero più e a quel punto mi venne paura.
“Marcella piantala.” – disse Gioacchina – “Beatrice è ok.”
“Non mi fido delle persone magre, lo sai.”
Risero ancora. Pensai che anche loro, mentre noi le scrutavamo, si prendevano gioco di noi, e quel semplice pensiero mi fece piacere.
“Tu hai sorelle?” – mi domandò Serafina che era la più silenziosa delle tre.
“Purtroppo no. I miei genitori dicono che basto e avanzo.”
Si guardarono negli occhi, non erano come le avevo sempre viste da lontano, mi parevano le persone più interessanti della scuola quel pomeriggio.
“I nostri genitori invece volevano una famiglia numerosa… Eravamo in 5 prima.” – disse Gioacchina.
Io rimasi in silenzio.
“No, tranquilla,” – mi provocò Marcella- “i nostri due fratellini gemelli non li abbiamo mangiati, sono nati con una malformazione allo stomaco. Praticamente sono morti di fame.”
Avrei voluto dire “mi dispiace”, ma vicino a loro tre le parole sembravano avere più importanza, così restai nuovamente in silenzio.
Abitavano in una palazzina bellissima, con un enorme giardino attorno.
“Nostro padre era architetto.” – disse Gioacchina – “L’ha progettata lui questa casa.”
Aprì la porta una signora strabordante, in ogni senso: il sorriso, l’abbraccio, la risata più fragorosa che riuscite ad immaginare. Le baciò tutte e tre come se fossero tornate da un viaggio, mi prese per mano e mi fece fare una giravolta.
“Ma sei bellissima! Dovresti fare la modella, sempre che non ti vada la merenda di casa Dumbo…”
Rise portandosi la mano alla pancia e rovesciando il collo all’indietro. Non erano una famiglia, erano una banda.
Fui assalita dalla fame o dalla gioia, non saprei dire. In casa mia, mia madre neppure si accorgeva quando rincasavo da scuola.
“Merenda!” – esclamai e le vidi così felici che non me ne pentii subito dopo.
C’erano tre torte ancora calde sul tavolo in soggiorno, delle pizzette squisite e succhi di frutta. Ci abbuffammo e ridemmo assieme, tutte e cinque.
“È il nostro modo per ricordarli.” – sussurrò Serafina al mio orecchio – “La malformazione era così grave che facevano fatica a nutrirsi persino con le flebo.”
“Come si chiamavano?”
“Tobia e Ezio.”
“A Tobia e Ezio!” – urlai, sollevando il bicchiere di Coca-Cola.
Si misero a piangere, credetti di aver rovinato tutto. Le sorelle Dumbo non piangevano mai. A scuola dicevamo che erano così grasse da essersi trangugiate anche le lacrime.
“Devi tornare a trovarci.” – mi disse Marcella – “A papà saresti piaciuta.”

 

 

2° classificato: “Mia sorella Anna” di Cyrcle Bob

Scopriamo Anna non grazie a lunghe descrizioni, ma dai dialoghi, le azioni, i pochi e intelligenti dettagli. Scopriamo la forza del legame non da parole sdolcinate, ma da sfide, insulti, prese in giro, come giustamente accade tra fratello e sorella. Ottimo ritmo.

 

 

Intervista al Secondo Classificato del contest di marzo: Cyrcle Bob

Il mese di marzo porta bene a Cyrcle Bob, una delle nostre Penne Felici più affezionate e prolifiche.
Dopo ben 9 racconti per noi, lo scorso marzo era salito sullo scalino d’argento con un racconto agrodolce su una stripper mamma che disinnesca lo squallore della vita con frammenti del proprio figlio infilati dentro agli occhi e ai pensieri. Questo marzo, dopo un totale di 17 racconti inviati a Breve Stora Felice, ritorna sullo stesso gradino d’argento con un fratello e una sorella credibilissimi e tratteggiati con una maestria che Cyrcle Bob non sembra ricercare, ma attendere come si attende il cambio di stagione. Lui si prende solo il merito di farsi sempre trovare pronto: al momento dell’estro, a quello della fatica, quando bisogna limare una storia, a quello della sorpresa quando ciò che si scrive acquista un gambo strutturale e si deve avere la capacità creativa di lasciarlo oscillare al vento della scrittura, ma senza mai arrendersi al metodo.
“Questa traccia volevo onorarla più di altre. Non sono cose che si controllano, è come con l’amore. Ci sono esseri umani che senza saperlo ti fanno venir voglia di dare il meglio di te. Quando scrivo, a me capita qualcosa di molto simile: ci sono storie che mi fanno battere il cuore e la testa più di altre.
Iacopo e Anna volevo che fossero normali ma magici, che facessero venir voglia ai fratelli là fuori di essere migliori con le proprie sorelle e alle sorelle là fuori di avere la forza di fare l’ennesimo primo passo. Volevo che fossero me e mia sorella ma in meglio. Molto in meglio. Che straripassero oltre la carta come spumante fuori dai calici e che qualcuno si passasse un po’ di loro dietro alle orecchie per avere la loro fortuna.”
Roberto non vuole aggiungere molto altro, detesta per sua stessa ammissione i social e il parlarsi addosso, o attorno – come ripete lui – a maggior ragione se si tratta di scrittura creativa.
“La scrittura si pratica, non si guarda da fuori o dall’alto. È come il sesso.”
E chi vuole discutere con Cyrcle Bob. Guai. Noi, in redazione speriamo piuttosto che continui a inviarci i suoi racconti ogni volta imprevisti, spesso anticonvenzionali, mai premeditati ma tutti quanti figli, nati da amplessi passionali su carta di cui la nostra medaglia d’argento si assume sempre ogni responsabilità tecnica ed emotiva.

“Mia sorella Anna” di Cyrcle Bob

Cosa c’è?”
“Niente.”
Anna dice niente ogni volta che vorrebbe dire tutto. Ci scommetto che adesso, dall’altra parte del telefono, si sta arrotolando i capelli attorno all’indice con lo sguardo perso dove nessuno la può raggiungere.
“Fammi indovinare… Hai litigato con mamma…”
“Tua mamma è cretina. Si è messa con l’ennesimo stronzo che le rovinerà la vita.”
Quando i nostri genitori hanno divorziato, Anna ha deciso di restare con lei, io invece sono andato a vivere da papà, per la par condicio dei sessi.
“Che c’ha questo che non va?”
“È un cazzo di carabiniere. Un violento.”
“Mi risulta che i carabinieri ci difendano dai violenti…”
“Iacopo, non è aria. Ti dico che questo è un violento.”
“Perché, ha fatto qualcosa a mamma?”
“No, però quando litigano tira pugni sul tavolo.”
“Bè, anch’io tiro pugni contro il tavolo quando perdiamo il derby…”
“Tu però non hai una pistola carica a portata di mano, Einstein.”
“C’è una pistola lì in casa?! La voglio vedere! Da papà al massimo ci sono mattarelli e farina.”
Nostro padre fa il panettiere, tra lui e mamma è finita perché non era sufficientemente ambizioso, ma se lo chiedete a mia sorella Anna, a papà son sempre mancate le palle, non le ambizioni.
“Sbrigati allora, tra 3 ore torna dal servizio.”
“Arrivo.”
Ho trovato la porta di casa aperta e Anna non era né in soggiorno né in cucina.
L’ho scovata in camera, con le cuffie nelle orecchie e le scarpe sul letto; il broncio non era indicativo perché Anna ha sempre il broncio.
“Da quanto è aperta la porta?”
“Da quando hai detto arrivo. La vuoi vedere oppure no?”
Mi ha trascinato in camera matrimoniale e ha aperto il primo cassetto del comodino.
“Cazzo. Me la immaginavo più piccola.”
“Sono le tue mani che sono piccole, sfigato.”
Quando mi provoca faccio sempre cazzate, e quel pomeriggio non ha fatto eccezione.
L’ho presa in mano, era fredda e pesante; era un po’ come spararsi la prima sega, vai a braccio, se perdonate il mio gioco di parole.
“Allora, ti senti il pisello più grosso?”
“Per quello non c’è speranza. Ho preso da papà.”
Avevo ancora la pistola in mano quando è piombato in stanza con gli occhi iniettati d’ira.
“Che cazzo ci fate voi qua dentro?”
“Che cazzo ci fai tu a casa a quest’ora?”
Anna non ha il dono della diplomazia.
Lui mi aveva strappato la pistola dalla mano e rifilato un ceffone in pieno volto.
A scuola, una volta, un mio compagno mi aveva spinto per terra e Anna lo aveva colpito da dietro con una sedia. Era stata sospesa per un mese.
Io mi tenevo la guancia con la mano mentre lei sferrava un calcio in mezzo alle gambe dello stronzo carabiniere.
“Corri!”
Non aveva dovuto aggiungere altro. Io e Anna non siamo d’accordo su nulla tranne che sulle fughe, in quel caso siamo uguali ai Chips ma senza moto.
Papà ci aveva aperto assonnato. Di pomeriggio riposa per riuscire ad alzarsi alle 4 di mattina.
“Tesoro sei venuta a trovarmi?”
“Già. Come va?”
“Tutto bene ragazzi? Avete due facce…”
“Abbiamo fatto a gara a chi arrivava per primo in casa. Ho vinto io.”
L’avevo trascinata in stanza.
“Devi dirglielo. Ti farà dormire qui.”
“Non lascio mamma da sola. Tu sei quello che se ne va, io sono quella che resta, ricordi?”
“Mi ricordo che un’ora fa hai detto che mamma è una cretina…”
“E tu che hai il cazzo piccolo… Non farei le pulci su quello che abbiamo detto un’ora fa.”
“Bè, io non ti lascio tornare a casa da quello.”
“Tranquillo, sfigato, non oserà toccarmi. Può perdere il lavoro se lo denunci. Certo, lui non sa che di secondo nome fai Ponzio, ma farò in modo che resti un nostro segreto.”
Anna non ha mai avuto paura di niente; gliel’ho sempre invidiato.
“Scusa. Avevi ragione. È un violento. Questa volta mamma l’ha combinata grossa.”
“Mamma è ancora ferma allo svezzamento, si trova dei coglioni che cerca di allattare e rendere uomini. E dire che avrebbe dovuto capire con te che non c’è portata.”
“Ok, sei meglio di me, hai vinto, però io le so dire le cose carine quando serve.”
Mi ha sfidato con lo sguardo e poi ha aperto la porta.
“Ti voglio bene fratello, voglio bene anche al tuo cazzetto matita.”
Poi è sparita.
Ad Anna non è vero che invidio il coraggio, la cosa che le invidio di più è saper sempre cosa dire al momento giusto.

 

3° classificato: “Il mare dentro” di Samu

Un’onda che va dal linguaggio ricercato al greve, dall’ironia alla tragedia, in una contorsione di tempi verbali che pure funzionano. Realistici gli atteggiamenti delle ragazzine, bellissimo il finale.

 

Intervista alla Terza Classificata del contest di marzo: Samu

​Samu ci ha preso gusto. L’abbiamo conosciuta un mese fa, quando ci ha fatto commuovere con la sua struggente bugia d’amore, ci ha fatto versare parecchie lacrime in redazione con il suo racconto di marzo: due sorelle, in mezzo a un mare in tempesta, nel loro ultimo giorno assieme su questa terra.
Che fosse brava a scrivere, l’avevamo scoperto già in occasione della sua prima partecipazione; Samu sa usare le parole, le sa scegliere, le sa pesare, le sa far danzare assieme o affilarsi quando devono andare a bersaglio, e sa mirare al lettore, infilzandolo in mezzo alla fronte o allo stomaco a seconda del momento narrativo.
E poi ama i suoi personaggi visceralmente, lei li tratteggia e ti sembra che siano parenti che conosce fin dalla nascita. Non sono funzionali alla sua storia, esistono al di fuori di quella storia, sono rotondi, non hanno lati, semmai hanno spessore. E quando finisce la storia vorresti saperne di più di loro, vorresti averli incontrati prima e rincontrarli ancora.
Le sue due sorelle, così diverse e così credibili, ci tengono a galla e poi ci fanno andare a fondo in una giostra emotiva controllata benissimo nel breve. Non provi neppure ad immaginarle fisicamente, non ti interessa, riesci invece a sentire la plasticità del loro legame nell’acqua, prende forma come un personaggio a sé, dentro a quel liquido nero, e resiste alla trama, al punto finale, unico e induplicabile come sono i rapporti famigliari, ma allo stesso tempo entità domestica dentro ad ognuno di noi.
“Questo racconto si è scritto quasi da solo. Ci ho messo più del solito, molto più del solito, ma mi sembrava che lo sforzo lo stesse compiendo qualcun altro. Io dovevo solo avere la pazienza di restare nell’acqua assieme alle mie due protagoniste e scoprire cosa avrebbero fatto, o detto.
Mi sono commossa più volte mentre lo scrivevo e ho sorriso ancora di più.
Mi ha fatto troppo piacere che entrambi questi stati d’animo siano stati assorbiti dal foglio e siano arrivati al giudice d’onore intatti.
Non credevo di arrivare sul podio, io era certa che sarebbe stato un testa a testa tra il racconto di Groucho, che anche questo mese ha toccato le mie corde, e Il Nostro Nuptse di Bastio…
Quel fratello che odia scalare ma che prova a raggiungere suo fratello sulla cima più alta del mondo mi ha ricordato le mie due sorelle, la tragedia che fa sbocciare il mondo intero che fratelli e sorelle custodiscono in loro laddove, nel resto delle relazioni, i sentimenti si seccherebbero. Mi commuove ogni volta questa capacità che hanno i legami tra fratelli e sorelle di concimare la vita, tutta quanta. Ho finito il racconto e sono dovuta correre in bagno ad asciugarmi la faccia. L’ho riletto il giorno dopo e sono dovuta correre in bagno di nuovo…”
Samu ha un modo di muoversi in mezzo al tessuto liquido del vivere e della pagina bianca che ci strega ogni volta. Ci rivela di essere figlia unica ma di aver sempre sognato una sorella al suo fianco.
“È questione di matematica in famiglia. L’amore raddoppia le paure, le gioie, le esperienze, le vittorie, le sconfitte, tutto si moltiplica dentro ai legami di sangue. E ho sempre pensato che fosse un bene.”
Un bene che non avrebbe potuto raccontarci meglio. Grazie!

 

“Il mare dentro” di Samu
Le dissi di respirare piano, che le onde si sarebbero calmate, che ci avrebbero visto, che il babbo sarebbe arrivato di lì a poco.
Elencavo cose perché elencarle mi distraeva dalla fatica alle gambe.
Ero esausta dopo aver sostenuto entrambe a galla per più di 20 minuti. La volontà, intanto, si serrava come un cancello in ferro da cui non sarebbe scappato più niente. Saremmo uscite da quell’inferno assieme oppure non ne saremmo uscite, di questo ne ero certa, era il mio testamento disciolto nel mare col passare dei minuti.
Lina è sempre stata più fragile di me, e non perché era più piccola di età ma perché ha ereditato la gracilità di mamma; io, invece, ho le ossa grosse di nostro padre, e il suo caratteraccio.
“Ho freddo…”
“Anch’io Lina.”
“Forse dovremmo pisciare.”
Mi distrasse per un attimo e ingoiai una secchiata di acqua salata che mi graffiò la gola. Per qualche secondo ci ritrovammo sott’acqua, gli occhi dentro gli occhi, tutte le cose che non si dicono echeggiavano in quel liquido nero e ghiacciato tra di noi.
Spinsi più forte che potevo e la strinsi a me per essere un corpo solo che voleva vivere per due.
Tornammo in superficie, prendendo tutto il fiato del mondo dall’aria sopra le nostre teste. Sapeva di sale e di fine giornata.
“Hai pisciato?”
“No!”, rispose annaspando Lina, “Eravamo sott’acqua…”
“L’ultimo dei nostri problemi è bere un po’ di piscio, Lina.”
“Parla per te…”
Lina è stata la bambina più schizzinosa che abbia mai visto. Da piccola le dava fastidio anche il cioccolato sciolto tra le dita. Lo guardava e scoppiava a piangere, fino a quando le leccavo i palmi e allora scoppiava a ridere.
“Adesso piscio, tienici a galla ti prego!”, lo disse come se per lei fosse davvero più difficile pisciarsi addosso che morire affogata.
Feci del mio meglio, ma la seconda onda arrivò troppo in fretta per i miei muscoli. Persi Lina sott’acqua, mentre la corrente ci trascinava a due metri di profondità.
Guardai sotto, era tutto buio; i suoi capelli biondi li avrei visti, aveva un costume rosa shocking indosso, anche quello l’avrei visto.
Rimasi sott’acqua più a lungo di quanto potessi, i polmoni quasi si spaccarono sotto la pelle quando riemersi senza averla trovata.
“Che schifo!”
Quell’imprecazione resta la cosa più bella di quel giorno.
Mi voltai dietro di me e la vidi che faticava a stare a galla.
Le fui addosso con energie raddoppiate. Avrei potuto sostenerla per un giorno intero a quel punto.
“Mi hai fatto cagare addosso dalla paura.”
“Marta, dimmi che non ti sei cagata addosso…”, urlò proprio così e mi fece sorridere spensierata, come le riusciva da sempre sotto le coperte quando al buio mi confessava le sue paure infantili.
Io e Lina non ci capivamo sempre, ci conoscevamo, che è molto meglio. Per me lei era mezza matta, per lei io ero troppo seria, assieme eravamo perfette.
Provammo ad allontanarci dalla spiaggia, forse al largo il mare avrebbe avuto pietà, era la mia teoria e Lina si è sempre fidata ciecamente di me. Io ero la sua preghiera e lei adesso è diventata la mia.
Un’onda di circa tre metri ci separò un’altra volta. Mi alzo ancora di getto, nel mezzo della notte, sentendo i suoi polpastrelli che provano ad incollarsi ai miei.
La cercai per un’ora, sott’acqua, in superficie; sapevo che era lì da qualche parte, che mi aspettava con gli occhi spalancati nel blu in attesa di essere sorelle ancora, per il resto della vita.
Desiderai morire, arrivava un cavallone e urlavo il suo nome.
“Arrivo Lina!”
Ma non ho mai avuto il coraggio di arrendermi, di voltare pagina; ha ragione Lina, sono una cocciuta musona che combatte le stesse battaglie anno dopo anno dentro a cose diverse.
Mi salvò il babbo con il motoscafo di zio. Lina fu trovata dalla guardia costiera 10 minuti dopo: aveva gli occhi spalancati e la bocca chiusa, forse per non ingoiare la propria pipì. Il pensiero mi fece sorridere e mio padre si arrabbiò.
Solo Lina conosceva i miei sorrisi fuori tempo, solo lei riesce ancora a strapparmeli dal viso quando ripenso a noi due in acqua quel giorno.
“Marta ma ti sei fatta la ceretta? Hai le gambe che pungono!”, così mi aveva detto in mezzo alle onde, e io avevo provato a sbattere i piedi in fuori per non darle fastidio.

 

MENZIONI D’ONORE MARZO 2022

Scegliere le menzioni d’onore questo mese è stato più difficile che scegliere i finalisti. Da un lato c’era la voglia di premiare l’originalità delle storie, dall’altra l’aspetto tecnico. Non riuscivamo a venirne a capo. Ci siamo accordati solo quando abbiamo deciso di menzionare i fratelli e le sorelle su carta che ci sono restati più dentro.

 

Sangue dello stesso sangue di Stefano Paiuzza

Ludy e Olga ti sembra di vederle, ti affezioni a loro riga dopo riga, due sorelle universali che bisticciano per lo stesso ragazzo ma non possono essere separate neppure dalla morte. Un racconto interiore dentro al frastuono.

Specchio di Alice Nava

 

Un racconto lungo quanto un pezzo di carta scritto da un fratello e letto da una sorella. L’intimità dentro a un attimo di vita e di parole. Magnetico.

Evaristo dalla mezza testa di Adelia Rouge

 

Un fratello incazzato, uno stile crudo, con le frasi tagliate “a vivo” come la storia che ci racconta. La cartina al tornasole della chimica tra fratelli.

 

GIURIA POPOLARE di MARZO 2022

 

Questo mese siamo molto soddisfatti della giuria popolare. I vostri racconti sono stati letti più del solito e laikati. La gara ha visto un indiscusso vincitore: in Adelia Rouge con ben 54 like per il suo “Evaristo dalla mezza testa”, ma è stata la battaglia per il secondo posto che si è decisa solo nelle ultime ore. L’ha spuntata Alice Nava con il suo “Specchio” per un solo voto. Onore a Elisa Ceolin con il suo “Il caffè” che per un pelo non saliva sul podio.

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La partecipazione richiede un pagamento di 20€ e la registrazione al sito, che la prima volta avverrà in fase di checkout.

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