novembre 2019
Il podio di Paolo Roversi per il Contest di novembre
“La piazza era stracolma di gente eppure nessuno sembrava essersi accorto di nulla: l’uomo giaceva a terra privo di vita…”
Il Breve scrittore Felice di novembre è Tiziana Colosimo con la sua flash-fiction: “L’ultimo messaggio”
“Per lo sviluppo originale della traccia e del meccanismo giallo, e per il finale inaspettato e convincente”
Intervista al nostro primo vincitore, la Breve Scrittrice Felice di novembre: Tiziana Colosimo
Chi l’ha detto che J.K. Rowling succede solo in Inghilterra? La nostra Breve Scrittrice Felice di novembre si è diplomata in pianoforte, insegna musica, si è sposata con un musicista a sua volta e ne ha messi al mondo altri due. Ed è qui che arriva il bello. Quando i suoi due bambini erano ancora piccoli, non si è accontentata delle favole che esistevano già, ha pensato di inventarne di sue, di dar vita a nuove storie misteriose, avvincenti, magiche che nascevano da un lampo nel bel mezzo di un attimo qualsiasi di vita e che affondavano le radici nelle sue letture da ragazza: dalla collana Mondadori dei Gialli dei ragazzi, a Edgar Allan Poe, fino a Stephen King e Scott Mariani, il creatore scozzese della saga thriller su Ben Hope, per i profani della letteratura del mistero, una sorta di figlio illegittimo di James Bond e Jason Bourne con un twist storico nelle trame.
Tiziana scriveva le sue storie d’avventura, le stampava e poi le consegnava ai figli che fungevano da critici letterari.
“I ragazzi sono i lettori più attenti ed esigenti. Figuriamoci con una madre… Trovavano sempre qualche incongruenza o qualche cambiamento da apportare…”.
Così dall’ampliamento di una di queste storie è nato il primo romanzo di Tiziana, che qualche anno più tardi, inviato ad un concorso, vinceva il primo premio, la pubblicazione e rientrava tra i 20 finalisti dell’ambito Premio Bancarellino. Era “Il Segreto del Settimo Sigillo” e correva l’anno 2008; da quel momento la nostra J.K. Rowling italiana non si è più fermata. I suoi romanzi di avventura e mistero sono diventati sei, tutti e sei pubblicati dalla casa editrice pavese Edigiò: la prima trilogia, oltre al romanzo già citato, comprende Il tesoro del pirata fantasma e La maledizione dello Scarabeo Blu, dopodiché è nato Maschere e Segreti, ambientato a Venezia, La chiave di pietra, un romanzo a sfondo storico nella Repubblica Romana del 1799 di cui Tiziana è molto fiera, e infine Un Magico Luna Park in cui ogni attrazione è gestita da un musicista o da un personaggio di un’opera lirica.
Quando si scrive così tanto e si è allo stesso tempo musicisti, evidentemente l’ispirazione trova sia la propria disciplina che i propri momenti di dolce insubordinazione. Tiziana non ha paura di non avere idee, e non ha nemmeno paura di perderle; sa – o forse sente – che prima o poi mentre è indaffarata a vivere, loro chiederanno di poter essere ascoltate. A quel punto sarà solo una questione di tempo. E di applicazione.
Si dice che ogni brano musicale possa essere suonato meglio a furia di ripeterlo, beh, ogni storia troverà la sua vita alla carta se le si concede il giusto spazio.
Quando ha deciso di partecipare al nostro concorso, si trovava a Modena, perché suo figlio stava suonando in un’orchestra a teatro, e lì nel bel mezzo del concerto, il suo micro-giallo per noi si è fatto vivo.
“Mi è venuta in mente la storia, ho aspettato di essere in albergo, l’ho appuntata su quei piccoli block-notes che si trovano in camera e poi ho perfezionato il tutto a casa.”.
Quindi è così che accade ai musicisti, altrimenti John Lennon non avrebbe mai detto: “La vita è ciò che ti accade quando sei tutto intento a fare altri piani”.
Tiziana non poteva saperlo, ma è proprio così che in America spiegano la flash-fiction agli scrittori emergenti.
“Una flash-fiction è un lampo che fissiamo su un pezzetto di carta perché continua a pruderci in testa. Non è l’impalcatura di un romanzo ambizioso, ma è una piccola storia che merita di essere raccontata alla stessa stregua di un fiore così bello che recidiamo e salviamo in un vaso a centro tavola per poterlo guardare ancora per un po’.”.
Noi ripubblicheremo il suo “Ultimo Messaggio” per lo stesso motivo, perché è un piccolo grande giallo che lascia un buon profumo nell’aria e che ti racconta un lembo di mistero come se appartenesse ad un arazzo ben più grande di cui non sappiamo nulla ma proviamo ad immaginare il resto.
L’ultimo messaggio di Tiziana Colosimo
Una scena consueta in un teatro, dove tutto è finzione.
Dopo la fucilazione la folla abbandona il palcoscenico, i passanti curiosi spariscono dietro le quinte.
L’ufficiale richiama noi soldati: è il momento di lasciare la piazza d’armi di Castel Sant’Angelo per il finale dell’opera lirica. Tosca, protagonista della vicenda pucciniana, si avvicina a Mario riverso sul palcoscenico.
“O Mario, non ti muovere…” sussurra il soprano.
È convinta che la fucilazione sia avvenuta per finta, come concordato con il barone Scarpia, il cattivo della situazione. Ma Mario è morto davvero nella finzione dell’opera di Puccini.
Ed anche nella realtà, perché io l’ho ucciso.
Il mio fucile non è stato caricato a salve ma con pallottole vere e la mia esperienza da ex combattente nella guerra in Iraq ha fatto sì che centrassi l’obiettivo al primo colpo.
Mi avvio lentamente dietro le quinte, ripensando al primo atto della mia tragedia personale.
Solo ventiquattro ore fa ero in un locale insieme al mio amico Vittorio, compagno di avventure studentesche. Eravamo in vena di ricordi e di confidenze e si parlava di conquiste e di belle donne.
Al quarto whisky gli confessai il mio amore per Elsa, un amore impossibile, senza speranza.
L’avevo conosciuta ad una festa in teatro e da allora le avevo inviato decine di messaggi ai quali non aveva mai risposto, dimostrandosi una donna fedele al proprio marito.
Un marito che conoscevo bene.
Lui, il famoso tenore, sempre protagonista sulla scena, acclamato dal pubblico, applaudito nei teatri più prestigiosi.
Io, una semplice comparsa, un anonimo personaggio secondario, tornato nel mondo della musica per dimenticare l’inferno della guerra.
Sulla scia dei miei discorsi, anche Vittorio si lasciò andare ad alcune confidenze ma fu interrotto da una telefonata e si scusò: doveva andare.
Rimasi a giocherellare con il mio bicchiere, sulle note malinconiche di un blues.
Poi il display del mio cellulare si illuminò ed io con lui: messaggio da Elsa.
“Dove sei? Devo parlarti”
Poco dopo era seduta davanti a me, splendida e giunonica, bella ed elegante e così anacronistica in quello squallido locale notturno. Cantante lirica di successo, aveva interpretato spesso il ruolo di Carmen, provocante protagonista dell’opera di Bizet, ruolo che le calzava a pennello.
Ordinai l’ennesimo whisky, incredulo, dopo le parole di Elsa: aveva capito di amarmi e, nonostante avesse fatto di tutto per resistere alle mie avances, ora aveva bisogno di me. Le afferrai d’istinto le mani e la sentii fremere.
Fu allora che mi parlò del suo piano diabolico ed io l’ascoltai.
A notte fonda l’accompagnai alla sua auto e lei mi baciò con passione, annebbiando i miei sensi.
Entro nel camerino delle comparse e poso il mio fucile insieme agli altri.
Non ho molto tempo per cambiarmi. Mi arrivano gli applausi del pubblico, il terzo atto è terminato.
Tra poco scopriranno che Mario è morto davvero ma io sarò già lontano.
Indosso il soprabito, prendo la valigetta ventiquattrore e mi dirigo verso l’uscita degli artisti.
Aspetto con impazienza ma Elsa tarda ad arrivare.
Ormai avranno scoperto l’omicidio, sento un insolito trambusto provenire dall’interno del teatro.
Tra poco sarà qui la polizia.
Fremo guardando l’orologio.
Il tempo scorre inesorabile.
Finalmente, ecco i fari e la sagoma familiare dell’auto di Elsa.
Apro subito il bagagliaio per posare la mia valigetta, poi apro la portiera.
Elsa è seduta sul sedile del passeggero.
Mi guarda e sorride nel vedere la mia espressione.
Al posto di guida siede Vittorio, il mio amico, e le stringe la mano.
Un piano perfetto: un delitto in teatro camuffato dalla finzione scenica, un sicario, una moglie finalmente libera di godersi l’eredità del marito insieme al suo amante.
Sorrido mentre l’auto si allontana nella notte portando con sé la mia valigetta ventiquattrore.
Una valigetta che ho preparato con cura, inserendo un po’ di quel materiale che utilizzavamo in Iraq per neutralizzare le colonne degli automezzi nemici.
Quando Elsa mi aveva baciato con passione, quella notte, avevo quasi creduto ai suoi sentimenti. Ma Vittorio, nelle sue confidenze si era tradito e, da un paio di particolari, avevo capito come stavano realmente le cose.
Il mio sorriso si trasforma in una smorfia sinistra mentre digito l’ultimo messaggio:
“Addio Elsa…”
Premo invio e l’auto salta in aria, illuminando la notte. I bagliori si fondono con i lampeggianti della polizia che ha ormai circondato il teatro.
Mi alzo il bavero e torno sui miei passi.
Cala il sipario sull’ultimo atto.
Il secondo classificato è Emanuele Rizzi con la sua flash-fiction: “Giù le maschere”
Perché Paolo Roversi ha trovato particolarmente apprezzabile l’idea di fondo e il colpo di scena finale.
Intervista al Secondo Classificato del contest di novembre: Emanuele Rizzi
“Non importa se ho solo 20 anni, se non ho mai fatto corsi di scrittura, o nessuno mi ha mai pubblicato… Se scrivo qualcosa di bello, mi piace pensare che sia ciò che ho scritto l’unica cosa che conta.
Un racconto bello non ha bisogno di una penna importante dietro, ha solo bisogno di essere letto. È questo che mi piace della scrittura…”.
A Emanuele non servono molte parole per dire quello che pensa, gli serve poterle scegliere personalmente prima che escano dalla sua bocca o dalla sua tastiera.
Ha iniziato a scrivere solo l’anno scorso, perché una sua amica scrittrice gli aveva detto che poteva diventare bravo. Così si è gettato nel concorso letterario nazionale “Il racconto nel cassetto”, rimanendo deluso dall’esito nonostante fosse la prima cosa che scriveva in assoluto.
Poi ha elaborato un piano, come il protagonista del suo micro-giallo scritto per il nostro concorso, o come ha fatto lui dopo il diploma all’Istituto Alberghiero, per voltare pagina e diventare assicuratore.
“Ho deciso di partecipare a più concorsi letterari possibili e di cimentarmi in generi diversi… Alla fine mi piacerebbe raccogliere tutti quanti i racconti in una raccolta e provare a farmela pubblicare.”
L’idea gli è venuta quando si è imbattuto in Andrzej Sapkowski, lo scrittore polacco divenuto celebre grazie alla sua serie di racconti fantasy con protagonista “Lo Strigo”, Geralt Di Rivia, da cui è stata tratta la serie di videogiochi di successo The Witcher.
“Non riciclerò lo stesso racconto per partecipare a più concorsi contemporaneamente, mi sono prefisso di sudare di volta in volta su una storia originale. E per ora il racconto breve è la lunghezza che sento nelle mie corde. Un romanzo, adesso, sarebbe troppo ambizioso.”.
Giù le maschere, il micro-giallo scritto per noi, l’ha partorito in un’ora, anche se prima ha fissato lo schermo per altre dieci senza sapere da che parte cominciare.
“Dopo aver messo il punto finale è iniziata la solita sofferenza; l’avrò riletto una trentina di volte…
Devo ammettere però che n’è valsa la pena. Mi sono stupito di me stesso alla fine della revisione.”.
In fondo è così che uno scrittore viene al mondo: “…quando scrive qualcosa che pensava di non sapere”.
Ci confida anche il secondo motivo che l’ha spinto verso la scrittura: “Nove volte su dieci non mi piacevano i finali dei libri che leggevo…”; così un bel giorno si è seduto dall’altra parte della storia, non per raccontare sé stesso come fanno quasi tutti agli esordi, ma per offrire ai lettori – e forse agli stessi protagonisti di carta – dei finali migliori.
Che dire: il mondo è un posto più bello ogni volta che un ventenne di Frabosa Sottana, un piccolo paese in provincia di Cuneo, pensa di poterlo riplasmare a proprio piacere partendo da delle parole messe in fila su un foglio bianco.
Ciò che lo sta aiutando in questa sua avventura, a suo dire, è aver letto tanto; Emanuele è un vero e proprio lettore seriale, polverizza libri uno dopo l’altro, e prima di cimentarsi nel genere del giallo ha letto: Douglas Preston, scrittore statunitense del genere tecno-thriller e horror, Virginia Andrews, con i suoi racconti di disagio sociale in chiave gotica, e Martin Cruz, sempre specializzato nel genere del thriller.
“Non voglio fare il paraculo perché ho appena vinto un concorso di racconti noir, ma uno dei primi libri che mi ricordo di aver amato è stato Le Indagini del Sergente McRae di Stuart McBride.”. Guarda caso un giallo, e con tanto di pedigree, dato che l’autore in questione ha prodotto successi del calibro di “Il cacciatore di ossa” e “Il Collezionista di bambini”.
No, Emanuele ci pare tutto fuorché un paraculo; è piuttosto una ventata di aria fresca, una di quelle che si insinua da una finestra socchiusa e ti sfiora le spalle, un giovane che non sogna di diventare scrittore perché gli piace l’idea di diventarlo, ma perché della scrittura gli piace innanzitutto lo scrivere in sé, il pacchetto completo, le lunghe pause d’impotenza quando si è in attesa dell’ispirazione, la furia creativa che gli guida le dita quando batte senza rendersene conto 10mila caratteri tutti d’un fiato e il supplizio della limatura dopo il punto finale, l’ultimo sforzo invisibile ai lettori, ma che compie proprio per loro.
“Quando scrivo, mi immedesimo sempre in chi mi leggerà; non mi dimentico mai di ciò che piace a me quando leggo.”.
Studiare gli è sempre andato a genio, fin dagli anni della scuola, e adesso non fa differenza. Legge romanzi in lingua originale, come Le Cronache del Ghiaccio e del Fuoco di George R. R. Martin, lo scrittore di fantasy americano dal cui adattamento è nata la serie televisiva delle serie televisive, Il Trono di Spade; ruba trucchi tecnici e stilistici ai migliori, ricerca strutture di narrazione e suspense dietro e dentro alle pagine che più lo coinvolgono, è un vero autodidatta, nell’accezione migliore del termine.
Sapete cosa diceva Milan Kundera di chi impara a scrivere da solo, vero?
“Ciò che distingue una persona che ha studiato da un autodidatta non è la quantità di conoscenza, ma il grado di vitalità e di coscienza di sé.”.
Ed Emanuele ha le idee così chiare su ciò che gli si agita sotto alla camicia quando scrive, che sogna brividi creativi diversi quando una storia gli bussa alla testa.
“Un giorno mi piacerebbe scrivere la sceneggiatura di un anime, quei film di animazione giapponesi che ricordano i fumetti manga ma in formato video…”.
Un giorno a noi di Breve Storia Felice piacerebbe guardarlo.
Giù le maschere di Emanuele Rizzi
Sapevano benissimo che lui si nascondeva a Londra, come una serpe. Probabilmente avrebbe agito durante lo spettacolo circense, nella piazza centrale. Le forze di polizia internazionale stavano addosso al ricercato numero uno al mondo, la Maschera di vetro. Intanto, a pochi isolati dalla casa dove gli agenti si stavano organizzando, un uomo sistemava delle casse insieme agli altri lavoratori per preparare la serata. Il volto dipinto, il cappuccio alzato. Avrebbe preparato uno spettacolo indimenticabile. Tese l’orecchio per ascoltare la dolce melodia soffocata del suo prigioniero, la cui anima veniva lentamente asportata. Una grossa risata uscì involontariamente dalla sua bocca. Nel frattempo, gli agenti avevano iniziato la perquisizione di sicurezza. Non trovarono nulla di strano, ad eccezione di quelle casse, piene di maschere di vetro tutte uguali. Potevano essere un indizio, ma lui non si trovava da nessuna parte. Non c’era nulla di insolito, oltre al contenuto di quelle scatole, in quella serata. Continuarono le ricerche anche in mezzo alla folla, che si era radunata in massa per assistere a quell’evento. Non si erano resi conto che la nuova recluta era sparita. Probabilmente già da prima che preparassero l’operazione.
Qual è il posto migliore per nascondere un cadavere, se non in piena vista? In una risata carica di pazzia, il criminale si tolse il suo simbolo dal volto, e lo appiccicò, come un adesivo indelebile, sulla vittima. Durante lo spettacolo, fu sua premura buttarlo sul palcoscenico, facendo credere che ciò facesse parte della sceneggiatura. A conferma di ciò, le maschere vennero distribuite a tutti i presenti, che le indossarono senza fare domande. La piazza era stracolma di gente eppure nessuno sembrava essersi accorto di nulla: l’uomo giaceva a terra privo di vita. L’intero pubblico indossava con fierezza quelle trappole mortali, quasi si sentisse parte di quel raccapricciante spettacolo. Fu allora che le sue maschere saltarono in aria, distruggendo l’intera piazza. Sistematosi il cappello, l’assassino si allontanò. Chi avrebbe mai riconosciuto quei suoi occhi, assetati di sangue, vestito così?
Il distintivo penzolava, quasi fosse impiccato, dal taschino sinistro.
Terzo classificato Andrea Finizio con la sua flash-fiction: “Senape”
Perché è grottesco, ironico e surreale al punto giusto.
Intervista al Terzo Classificato del contest di novembre: Andrea Finizio
“Quando avevo 15 anni, ho partecipato al mio primo laboratorio di teatro…Il regista ci fa fare un’improvvisazione e in questa improvvisazione c’è un cadavere. Noi ragazzini non usciamo dal contesto della credibilità, ma lui vuole spingerci oltre. Tutto d’un tratto, mentre interpreta il ruolo dell’ufficiale di polizia, ci dice: ‘Ma perché mai ricoprire il cadavere di senape?’…”.
Quest’immagine lo ha perseguitato per 15 anni, fino a quando si è imbattuto nel nostro contest su Breve Storia Felice e ha saputo cosa farsene.
Le menti creative funzionano così: se Stephen King non avesse mai passato una nottataccia in un terribile motel nel Colorado, Shining non sarebbe mai nato.
Andrea è una spugna, assorbe il mondo che lo circonda, le parole che sente o legge, i sensi dietro alle cose e i dettagli che non interessano agli altri, poi frulla tutto assieme e prova a fare ordine. E ci tiene a farlo con stile.
“Ho sempre pensato che la mia missione su questa terra fosse quella di esprimermi. Credevo quasi di avercela fatta con il teatro, e invece mi sono schiantato contro il muro delle bollette da pagare e della vita…”.
Ci torna in mente la canzone dei Cursive, una band super indipendente del Nebraska che sa cosa vuole dire provare a sognare in una provincia piatta da cui è impossibile intravedere un qualsiasi orizzonte creativo. Cantavano: “Art is hard”, l’arte è difficile. E avevano fottutamente ragione.
Da fuori le inclinazioni artistiche brillano tutte alla stessa maniera, è quando spingono da dentro che realizzi cosa sono veramente: una sfiancante corsa all’oro in cui sai in partenza che ce la faranno in pochi, eppure non riesci a rassegnarti a non correrla.
Andrea è pure vergine ascendente vergine, un perfezionista patologico con la voglia di lasciare un segno.
“Ho il terrore di diventare bravo in tante cose, ma perfetto in niente.”.
Capiamo mentre ce lo dice il perché divori ogni libro di Amélie Nothomb, la sua scrittrice preferita: perché i cuori alla ricerca di attimi e destini assoluti si riconoscono ovunque.
Capiamo un po’ di quel cinismo e humor nero che evapora dal suo racconto “Senape”. Capiamo gli strati che ha appoggiato riga sopra riga per costruire una storia poliedrica che punti a tramortire il lettore prima ancora che a emozionarlo.
“L’Amelio Bonoto del mio racconto è un omaggio a lei, a Amélie. Il nome dello scrittore trovato morto è praticamente il suo anagramma. Ho provato anche ad adattare un suo testo per il teatro, ma pure in quell’occasione sono subentrati problemi con il mio socio e non se n’è fatto più niente.”.
“Peccato.” – ci dice, e poi sospira.
Ad Andrea forse sembra di pedalare a vuoto, a trent’anni capita più che a 20 o a 40, ma la verità è che il blog che teneva da ragazzino, dando forma ai suoi pensieri adolescenziali, la recitazione a teatro, l’assistenza alla regia dietro al palcoscenico non sono appunti di futuro andati persi, sono le pagine migliori che sono resistite al tempo.
Il suo racconto vincitore ha impiegato giorni a scriverlo, le prime righe sono uscite in fretta, poi la vita e un bambino di quasi due anni si sono messi un’altra volta di traverso. Credeva che non l’avrebbe mai finito in tempo, l’aveva appuntato sulle note del telefonino ed era convinto di aver superato il limite delle parole consentite. Non era vero, ne aveva almeno altre 300 a disposizione. Un pomeriggio si è barricato in camera e in tre ore ha completato il testo.
Andrea non se ne accorge ma possiede una cosa che è fondamentale quando si crede di essere nati per esprimersi: lui dentro di sé custodisce un metodo.
Ci parla delle sue serie tv preferite, di come l’aver guardato Le regole del delitto perfetto lo abbia aiutato nello strutturare un micro-giallo.
“In quella serie quello che funziona è lo spostare in continuazione l’attenzione su qualcun altro… Ho preso a prestito quel meccanismo.”.
Gli chiediamo che ruolo vorrebbe se trasformassero Senape in un testo teatrale e per una volta non esita un solo secondo. “Sarei il regista.”.
I Cursive cantavano: “Devi affondare per nuotare. E poi provare e poi fallire e poi riprovare.”.
Senape di Andrea Finizio
La piazza era stracolma di gente eppure nessuno sembrava essersi accorto di nulla: l’uomo giaceva a terra privo di vita, ricoperto di senape.
Un taglio lungo la colonna vertebrale, un’incisione ferma e precisa, lasciava scorgere al posto dello scheletro un’imbottitura posizionata meticolosamente. La testa non c’era più, sostituita da un cuscino ricoperto di senape.
Poco distante dal corpo freddo e farcito, un foglio martoriato dal via vai dei passanti recitava a caratteri rossi e gialli uno slogan alquanto sinistro: “…tto. Il paradiso adesso è spalmabile”.
Mentre Ciro, il pastore tedesco della squadra di polizia, stava leccando con una certa soddisfazione il piede della vittima ed era l’unico che sembrava trarre giovamento dalla situazione surreale, la scientifica aveva effettuato l’identikit.
Gli agenti sbiancarono, non poteva essere davvero lui.
– È con immenso dolore che saluto mio padre, uomo dalle straordinarie capacità, strappato alla Terra e alla famiglia troppo, troppo presto. – Le parole del figlio adottivo, formali e composte, riecheggiavano in tutti i telegiornali.
“Cristo santo! Cristo, Fra, corri!”
“Arrivo! Che c’è? Che ti prende?”
“Guarda, cazzo.”
“Che?”
“Lì, cazzo! Dietro!”
“Quello grasso coi rasta?”
“No scemo, qui!”
Il silenzio che venne dopo fu di quelli in cui capisci che l’aria non è vuota. Dove senti le molecole che si spostano, ti urtano e vibrano impazzite. Un silenzio eccitato.
Diego e Francesco, due studenti di legge tirocinanti incaricati di seguire il caso come oggetto di studio, non potevano credere ai loro occhi.
Sotto al braccio di un uomo di spalle con un cappotto scozzese c’era un grosso volume di fogli dalla copertina strappata. “Ti cucino un deli… “. Queste le parole che si distinguevano a chiare lettere nel fermo immagine del TG. Impossibile confondere il carattere, quel rosso, quel giallo: era un pezzo del puzzle.
“Fra. E adesso?”
Francesco sorride.
“Adesso? Adesso fumo una sigaretta, telefono in centrale, dichiaro quello che abbiamo visto in TV, mi faccio una doccia e mi vesto come si deve, perché oggi CI CAMBIERÀ LA VITA!”. Poi rivolto allo specchio: “Ah, le interviste le faccio io se non ti offendi. Sono più telegenico.”
“Ok, Fra. Devo cagare. In bagno ci vado prima io.”
È il 15 novembre e il manoscritto del prossimo thriller dello scrittore più famoso del momento viene ritrovato dalla polizia all’interno dell’auto del figlio adottivo. Ti cucino un delitto. Il paradiso adesso è spalmabile – di Amelio Bonoto. Sulla prima pagina una dedica: Ispirato a mio figlio Marco e alle sue ricette speciali.
727 pagine di inarrivabile maestria per narrare il misterioso assassinio di uno chef stellato, ucciso e disossato, poi abbandonato in una piazza, minuziosamente ricoperto da un formaggio spalmabile.
Senza saperlo, Bonoto aveva raccontato i dettagli della propria morte.
È il 15 novembre e un pastore tedesco sta banchettando sul corpo della vittima mentre la scientifica è davanti all’inverosimile.
Cade la pioggia che si mescola alla senape e la scioglie. L’uomo senza vita galleggia sopra un’emorragia gastronomica tra la frenesia dei passanti.
È il 20 novembre e due studenti universitari rilasciano interviste in diretta TV per aver contribuito a delineare il profilo dell’assassino “ancora a piede libero, ma con i minuti contati!” rassicura il presentatore, che in uno scrosciare di applausi propone la laurea honoris causa per i due giovani.
È il 20 novembre e Marco Bonoto vende il manoscritto del padre ad una casa editrice per due milioni di euro.
È il 10 gennaio e del killer ancora nessuna traccia. Il libro, pubblicato in tempi record, è in testa alle vendite. L’hashtag più diffuso è #perchéricoprirlodisenape e tutti, ma proprio tutti, dicono la loro su quanto è accaduto.
È il 15 gennaio, Diego e Francesco sono due celebrità e il loro primo libro “La gente non Legge” sta per essere presentato in anteprima nazionale.
“Fra, hai visto il mio cappotto?”
“Sbrigati cazzo, ci stanno aspettando, è sulla poltrona di sopra”.
Diego corre, raccoglie veloce il cappotto da cui cade un foglio. È una ricetta scritta a mano.
“Impugnate il coltello e premete con decisione la punta della lama. Fatelo scorrere lentamente lungo la spina dorsale. Se non lo avete ancora fatto, togliete dal frigo il formaggio spalmabile, rimarrà più morbido per la guarnizione finale.”
Il resto della ricetta non è decifrabile, macchiato da una salsa giallastra.
Un uomo di spalle con un cappotto scozzese sta correndo verso un’automobile accesa.
“Diego dai, facciamoci un selfie.”
#lagentenonlegge #perchericoprirlodisenape
MENZIONI D’ONORE
LA FINE DELL’INNOCENZA DI META MORFOSI
Perché prova a raccontare una città e la sua società attraverso un giallo di 700 parole. Se si potessero racchiudere i gialli dentro a un piccolo caleidoscopio di cartone, questa suggestione in parole ci finirebbe dentro.
I SETTE PASSI DI ENRICO GROSSI
Per l’atmosfera da Signora Fletcher de’ noantri e per l’arma del delitto degna di Agatha Christie.
I COLORI DELL’INCENDIO DELLA CATTEDRALE DI GIOVANNI CASALEGNO
Per l’ambizione di una trama da intrigo internazionale e l’aver provato a tratteggiare più personaggi in così poco spazio.
I VINCITORI DELLA GIURIA POPOLARE
ossia i due racconti che hanno ottenuto il numero più alto di like combinando i voti di Facebook e quelli di Instagram
Nonostante la corsa generosa di Barbara Alari verso la vittoria, il secondo posto nella gara tra like se l’è aggiudicato la nostra Breve Scrittrice Felice di novembre: Tiziana Colosimo, con 52 voti complessivi tra facebook e instagram al momento della chiusura della votazione, mentre il nostro Vincitore della giuria popolare di questo contest-noir è: Marco Bonini, con il suo racconto “Lo Strano Giorno”. Marco ha totalizzato 70 voti complessivi tra like di facebook e cuori su instagram alla chiusura della votazione e potremmo andare avanti a contare… Complimenti! A lui va il lettore e-book in premio per questo mese!
1° Marco Bonini con “Lo Strano Giorno” – 70 “like” compessivi tra Facebook e Instagram.
Si aggiudica il Premio Social di BSF: un e-book reader.
2°Tiziana Colosimo con “L’ultimo messaggio” – 52 “like” compessivi tra Facebook e Instagram.
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